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Scolacium (Catanzaro). ISLAM: in teatro la lezione di san Francesco

Angela Calvini sabato 20 agosto 2016
Uno dei più straordinari gesti di pace nella storia del dialogo tra islam e cristianesimo è rappresentato  dall’incontro tra san Francesco d’Assisi e il sultano di Egitto al-Malik al-Kamil, nipote del Saladino. Quello storico colloquio, avvenuto a Damietta nel 1219 è ancora oggi così significativo e attuale da indicare la rotta nella ricerca di pace tra Oriente e Occidente. Non a caso, il Papa fra un mese esatto sarà proprio ad Assisi per l’incontro “Sete di pace” che vedrà quattrocento rappresentati di tutte le religioni pregare insieme presso la basilica di San Francesco. Ebbene, a distanza di otto secoli quel dialogo misterioso avvenuto in terra d’Egitto riprenderà  vita questa sera, nella suggestiva cornice del Parco Archeologico di Scolacium (Catanzaro), nell’ambito del festival Armonie d’arte (in corso sino al 10 settembre).  Francesco e il sultano, ovvero il dialogo felice tra cristianità e islam è una produzione originale del festival, in prima assoluta, scritta dal giornalista Rai Francesco Brancatella e dedicata a Suso Cecchi D’Amico e Franco Zeffirelli, autori del soggetto inedito sull’incontro tra san Francesco e il sultano per un film mai realizzato. A questa sceneggiatura si è ispirato Brancatella, oltre che alle Fonti francescane e alle opere di Franco Cardini. Il giornalista sarà sul palco per una sorta di “intervista impossibile” con tre personaggi rappresentati da tre protagonisti del teatro italiano: Alessio Boni nei panni di san Francesco, Mariano Rigillo nel ruolo di Federico II ed Edoardo Siravo in quello del sultano. Uno spettacolo di parole, di musica e danza, con i ballerini del Collettivo Fada diretti da Filippo Stabile.  Cosa in effetti si siano detti il mite Francesco e il potente sultano d’Egitto, non si sa. I racconti di Bernardo il Tesoriere, Tommaso da Celano, Giordano da Giano e Bonaventura da Bagnoregio si incrociano e si contraddicono con quelli di alcuni cronisti arabi. Pare comunque che i “saraceni” abbiano preso Francesco prigioniero, arrivato da Ancona al porto di Damietta assediato dai Crociati durante la disastrosa V Crociata. Secondo san Bonaventura da Bagnoregio, Francesco «predicò al Soldano il Dio uno e trino e il Salvatore di tutti, Gesù Cristo, con tanto coraggio, con tanta forza e tanto fervore di spirito» da suscitare in lui una profonda ammirazione e rispetto. Il Poverello non ottenne la liberazione di Gerusalemme, ma il permesso di inviare i propri missionari a sostegno dei pellegrini sì. «Grazie a quell’incontro ancora oggi i francescani sono in Terra Santa – spiega la direttrice artistica del festival e del progetto teatrale Chiara Giordano –. Ed è venuto a testimoniarlo pochi giorni fa alla presentazione del- lo spettacolo padre Ibrahim Faltas della Custodia di Terra Santa. Il nostro auspicio è di portare questo testo in Terra Santa fra tre anni, per gli ottocento anni dell’arrivo dei francescani». Dovrebbe anche avere altre date italiane questo testo incalzante, a metà fra teatro e inchiesta, quanto mai attuale dopo la preghiera comune nelle chiese di cristiani e musulmani a seguito dell’uccisione presso Rouen di padre Jacques Hamel. A indossare il saio di Francesco sarà Alessio Boni (che dal 12 settembre vedremo nella fiction Rai sulla mafia La Catturandi). «Si tenta dare una visione attuale di cosa è successo al- lora, come fosse una trasmissione giornalistica – spiega l’attore ad Avvenire –. Il messaggio dello spettacolo è molto forte in un periodo in cui nelle cronache sentiamo parlare solo di antitesi religiose. Non ci si può più nascondere, le due sponde del Mediterraneo devono cercare di dialogare, altroché bombe “intelligenti”. Quello che ha fatto Francesco nel XIII secolo è come se oggi uno si mettesse saio e sandali e andasse a parlare con Assad. È la stessa follia». L’attore, in questi giorni a Torino sul set della fiction La strada verso casa, è corso in Calabria perché «nel mio piccolo ci tengo a partecipare a progetti che combattano questa atmosfera negativa che sento, in cui ognuno si trincera in se stesso, dietro un muro di diffidenza. Nessuna società si evolve in questo modo. Certe paure le capisco, ma se non reagiamo ci scaviamo la fossa da soli». Ed ecco quindi, continua Boni, l’importanza del messaggio di san Francesco, la sua lungimiranza nei confronti delle nuove generazioni cui vuole lasciare un futuro migliore. «Lui tenta di bloccare la carneficina, di creare fraternità parlando direttamente al cuore dell’uomo. E trova davanti a sé un uomo saggio, ricco di cultura. Ecco l’importanza della cultura: conoscere significa che puoi dialogare, se no sai solo erigere barriere e mettere mano alla spada». Il Francesco che vedremo stasera, nell’interpretazione dell’attore, sarà un uomo con le sue paure e fragilità, che cerca di fare quello che può, mettendoci il cuore e parlando di Dio. «Ha ragione il Papa, quelle di oggi non sono guerre di religione ma di interessi – aggiunge Boni –. E quello che dice san Francesco al sultano è: dobbiamo smettere di ucciderci in nome di un Dio che non lo vuole, che invece è unico e ci ama tutti. La religione qui non c’entra, Francesco non va per convertire, ma per parlare all’uomo, pensando alle tante vite umane giovani che vengono trucidate. La sua è una lezione di vita per l’oggi». Che tipo sarà, invece, il sultano di Edoardo Siravo? «Lui è passato alla storia come il sovrano perfetto – spiega l’attore, che presto tornerà in scena in Aspettando Godotdi Scaparro –. Io mi sono interessato a questa parte della storia quando ho doppiato Jeremy Irons, nei panni di Raimondo III di Tripoli, nel film Le Crociate di Ridley Scott. Al-Kamil sta dalla parte di coloro che cercano la pace e di mettere fine a questa barbarie di una guerra lanciata in nome di Dio. Ma è proprio dalla personalità di Francesco e di come parla di Dio che il sultano rimane molto colpito. E ammetterà di aver capito che l’uomo ha la responsabilità di ciò che succede nel mondo e deve combattere in prima persona la rovina della guerra».  Guerra che cerca di evitare anche Federico II, che non rifiutò la V Crociata e che partecipò nel 1228 alla VI ottenendo Gerusalemme, senza combattere una sola battaglia, ma grazie a un accordo diplomatico con il sultano al-Kamil. Lo interpreta il grande attore Mariano Rigillo, che a ottobre inaugurerà la stagione del Franco Parenti di Milano con il suo Re Lear: «Federico interviene nello spettacolo significando il suo modo di intendere la politica fra gli stati, rivendicando la sua laicità, e fra le classi, per tentare di abolire le differenze e di privilegiare la povera gente. Parla della cultura per la crescita sociale, e condanna qualunque guerra e tipo di violenza. Immagina un mondo ideale in cui non dovrebbero avvenire più conflitti. E lo immaginiamo anche noi».