Agorà

MASSIMO DAPPORTO. «Io, un ladro buono nel ghetto di Roma»

Angela Calvini domenica 13 ottobre 2013
Settant’anni fa, nella notte fra il 15 e il 16 ottobre 1943, il ghetto di Roma veniva rastrellato dalle truppe della Gestapo che deportavano ad Auschwitz 1259 persone, di cui 363 uomini, 689 donne e 207 bambini appartenenti alla comunità ebraica. Solo 16 di loro sopravvissero. Ci vuole del coraggio ad affrontare un tema del genere con il tono della commedia, alternando sorrisi e momenti di commozione, ma è quello che farà un mattatore come Massimo Dapporto, affiancato da Blas Roca Rey e Susanna Marcomeni, al Teatro Ghione di Roma, dove debutta proprio il 15 ottobre, con Ladro di razza. Un piccolo testo in romanesco di Gianni Clementi, con la regia di Marco Mattolini, che racconta l’avventura, in un’Italia devastata dalla guerra, di Tito (Dapporto), un modesto ladro e truffatore, che appena uscito dal carcere cerca di sbarcare il lunario. Finchè arriva la brillante idea di conquistare una ricca zitella ebrea per svaligiarne l’appartamento. Ma la Storia irrompe inaspettata.Dapporto, lei da romano come affronta un testo che parla di una ferita così grave per la sua città?Innanzitutto sono rimasto affascinato da questo testo in romanesco. Gianni Clementi è conosciutissimo all’estero, ma in Italia è relegato nel clichet del teatro dialettale. È una storia che si ispira al grande cinema neorealista, in una Roma allo stremo ma ancora capace di sussulti d’orgoglio. Tito è un furfantello, vive in una baracca con l’amico Oreste che invece è una persona onesta, un operaio. Ma questo non gli basta.E qui entra in scena il mondo ebraico.Tito conosce casualmente una ricca zitella ebrea, Rachele, che vive da sola in un lussuoso appartamento nel ghetto. Lui decide di organizzare un furto e la corteggia finché cede. La base è il divertimento, un po’ alla Benigni, ma i risvolti saranno drammatici e, al tempo stesso teneri. Perché questa donna, che lo ama davvero, sarà la sua coscienza. E lui, che non è stato mai tanto amato, si troverà a fare una scelta improvvisa. La notte del rastrellamento Tito si trova da lei, sente le camionette dei nazisti arrivare e scappa. Ma poi arriva il riscatto: torna indietro e decide di starle accanto e partire con lei per il lager.Lei aveva già incrociato la Seconda guerra Mondiale in qualche film?Sarà per la mia faccia, ma all’inizio della mia carriera venivo sempre scelto per i ruoli di cattivo. Così mi ritrovai  come gerarchetto fascista che fa la spiata ai tedeschi nella serie tv di Lizzani Storia d’amore e di amicizia. Qui, invece, vorrei far vedere agli italiani di oggi, sfiduciati, come l’Italia azzerata dalla guerra poteva ripartire grazie alla solidarietà.Suo padre, Carlo Dapporto, come ha vissuto la guerra?Mio padre era stato scartato dall’Esercito perché soffriva d’asma. Così sono riuscito a nascere io, nel 1945, proprio in mezzo tra le bombe di Hiroshima e Nagasaki. Lui allora lavorava a Milano, faceva spettacolo e quando suonava la sirena doveva interrompere e scappare. Ha anche rifugiato, rischiando la vita, una famiglia di ebrei, che si è salvata. Una volta è stato anche arrestato dai tedeschi e se l’è cavata con una barzelletta.Una risata per salvarsi dai nazisti?Era stato arrestato per una barzelletta che era stata giudicata irriverente verso i tedeschi. Dopo un giorno di prigione, un ufficiale lo convocò e gli impose di ripetergliela. Mio padre era terrorizzato, ma sfoderò tutta la sua arte per salvarsi e riuscì a fare ridere il tedesco che lo rilasciò.