Agorà

MUSICA E SOCIALE. «Le mie battaglie in nome di Amy»

Angela Calvini martedì 11 dicembre 2012
​«Non voglio che mia figlia Amy venga ricordata solo come una cantante straordinaria, o come una drogata o come una che è morta a causa dell’alcol. Lei era una persona meravigliosa che faceva del bene agli altri anche prima di diventare famosa». Mitch Winehouse è il ritratto della figlia Amy, talento bruciato a soli 27 anni, quando nel 2011 venne ritrovata senza vita nel suo appartamento londinese. Lo stesso ovale del volto, gli stessi occhi scuri che si arrossano quando parla della figlia. Ce lo ritroviamo davanti al Roof Garden del Casinò di Sanremo, dove sabato scorso ha tenuto il suo primo concerto in Italia insieme al quintetto jazz con cui ha registrato due anni fa l’album Rush of love: un crooner elegante su brani di Tony Hille, Frank Sinatra e Antonio Carlos Jobim. Tutte operazioni i cui proventi vanno alla Amy Winehouse Foundation, creata dai genitori della cantante il 14 settembre 2011, due mesi dopo la sua scomparsa, giorno in cui avrebbe compiuto 28 anni. Mr Winehouse, i suoi concerti, come la recente biografia di sua figlia, l’hanno esposta anche ad alcune critiche.Lo so, c’è chi mi ha dato dell’opportunista, ma ci sono anche molte persone che supportano. Quando Amy morì io, sua madre, suo fratello ci domandammo: «E ora che facciamo?». C’erano solo due soluzioni, o gettarci in una fossa o reagire in modo positivo. Gli introiti della biografia, del disco (a maggio ne pubblicherò un altro), dei concerti vanno tutti alla Fondazione nata per aiutare i giovani in difficoltà.Per lei è la prima volta in Italia come cantante?Sì, ma l’Italia la adoro, ci sono venuto tante volte in vacanza. Io vengo da una famiglia di musicisti ed ero un cantante professionista di brani swing e jazz classici. Quando sono nati i miei figli, negli anni Settanta-Ottanta i crooner alla Frank Sinatra non andavano più di moda. Avevo una famiglia da mantenere e così sono diventato un tassista.Quando ha capito che qualcosa andava storto nella vita di sua figlia? Per Amy i problemi sono iniziati quando la nonna, che l’aveva cresciuta, è mancata, e al tempo stesso è uscito il primo album Back to black. In più, è tornato l’ex fidanzato che è stato la sua rovina. Con lui si è lasciata trascinare nel vortice della droga, il successo le ha fatto perdere l’equilibrio, a me non dava più retta. E stato un periodo dolorosissimo.Come ha vissuto lei da padre i vari tentativi di uscire dal tunnel?Amy a un certo punto ha deciso di entrare in riabilitazione e dal 2008 fino al 2011 non si è più drogata. Mi aveva anche promesso che si sarebbe liberata dell’alcol. Nelle ultime sei settimane di vita aveva smesso di bere, ma, come spesso succede a chi è in astinenza da alcool, poi ha ricominciato a bere ininterrottamente per due giorni di fila, finendo con l’avvelenarsi.Secondo lei, cosa può fare un genitore in casi come questi?La prevenzione è l’unica via. Per questo il programma principale della Amy Winehouse Foundation è quello dedicato alle scuole. È partito lo scorso aprile a Londra: 80 persone che stanno affrontando un percorso di riabilitazione personale, raccontano la loro esperienza agli studenti. Il problema più pressante, oggi nelle scuole sono soprattutto l’alcol e alcune droghe pericolose e a bassissimo costo che arrivano dall’Estremo Oriente. Come la Mda che è un derivato dell’anfetamina oppure la chetamina che è un anestetico per cavalli. Di questo si muore.Avete anche altri scopi?Abbiamo un programma per i senzatetto: nella sola Londra ci sono 30mila giovani che vivono per strada. Noi supportiamo alcune associazioni che distribuiscono pasti caldi e che offrono riparo per la notte. Inoltre finanziamo un centro che si occupa della riabilitazione dei giovani dalla droga e dall’alcool e ci occupiamo dei bambini svantaggiati. Ora siamo anche a New York per sostenere programmi di musico terapia e di doposcuola.Lei ha anche visitato di recente la comunita di San Patrignano.Lo scorso settembre sono stato a San Patrignano con l’associazione Tomorrow’s people. Sono rimasto entusiasta e vogliamo importare lo stesso modello in Gran Bretagna. Da noi non esiste nulla di simile. I centri di riabilitazione lavorano solo sulla disintossicazione, ma non sul reinserimento lavorativo. I ragazzi restano solo tre mesi, le strutture sono rigide, manca l’elemento umano. Ecco perché Amy non le amava. Invece San Patrignano le sarebbe piaciuto. Qui ci sono un ospedale, laboratori artigianali, studi di design, insomma ai ragazzi si dà l’opportunità di lavorare e vivere insieme.Sua figlia sarebbe orgogliosa di quello che state facendo?Sono certo che mia figlia sia accanto a me. Sono ebreo, ho fede in Dio e credo nella vita oltre la morte. E questo mi dà la forza di andare avanti.