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GLORIA ESTEFAN. «Canto i classici americani ma il pensiero va a Cuba»

Massimo Gatto sabato 17 agosto 2013
«Un bacio alla nonna» è la frase italiana con cui Gloria Estefan dice di aver preso più confidenza da quando un anno fa il piccolo Sasha Argento è arrivato a riempire la sua vita. Con sette Grammy, cento milioni di dischi venduti, ma anche un sistema di imprese con oltre tremila dipendenti, non che la sua esistenza prima fosse vuota, ma il primo nipote è il primo nipote e lei se lo mangia con gli occhi sullo schermo del telefonino che poggia sul tavolo dell’ufficio in stile balinese-chic al quinto piano della palazzina di Miami Beach da cui, con uno stuolo di sessanta impiegati, dirige le molteplici attività del suo impero. «Mio figlio Nayib e la sua dolce consorte italiana Lara non avrebbero potuto farmi regalo più grande» ammette la superstar cubana tralasciando per un attimo la promozione dell’album The standards, sul mercato dal 10 settembre, in cui ha voluto duettare con Laura Pausini Smile in spagnolo e in italiano proprio in omaggio alla doppia nazionalità del piccolo erede. «Volevo un pezzo dolce e bellissimo da condividere con una cantante bilingue e Laura, che stimo da sempre, mi è sembrata subito la scelta migliore». Il celebre brano di Charlie Chaplin brilla tra le 13 gemme di The standards il nuovo album che la cantante cubana, 56 anni il prossimo primo settembre, presenterà il 17 ottobre con un concerto alla Royal Albert Hall.Cosa l’ha spinta a pubblicare un disco completamente focalizzato sul grande songbook americano?Due anni fa, a una cena qui a Miami, il pianista Shelly Berg mi chiese di cantare uno standard jazz e io, presa alla sprovvista, ricordandomi di un vecchio omaggio a Billie Holiday abbozzato venticinque anni fa al Johnny Carson Show, ho scelto Good morning heartache, scoprendo sapeva ancora emozionarmi come al tempo in cui me lo faceva ascoltare mia madre sul giradischi di casa.E poi?Con lo stesso Berg e con mio marito Emilio, produce il tutto, siamo passati da una lista di cento titoli a cinquanta e infine ai sedici che figurano nel disco. Tutte cose scritte tra il 1920 e il 1949 che ho registrato come se mi trovassi su un palco assieme a grandi musicisti al fianco in passato di gente come Ella Fitzgerald o Count Basie.Come vive la musica di questi anni?La musica assomiglia a un pendolo che oscilla da un estremo all’altro. E il playback, l’usa e getta, i talent show non hanno contribuito a migliorarla. Francamente fatico un po’ a immaginarmi Lady Gaga fra venticinque anni.Ha mai rimpianto di aver declinato nel ’98 l’invito a seguire Giovanni Paolo II a L’Avana?Dissi di no perché quella del papa era una missione spirituale, mentre la mia presenza avrebbe avuto un valore politico e non volevo distrarre l’attenzione dal significato di quel suo storico viaggio.Da esule cubana come vede il futuro della sua terra?Sinceramente, penso che a nessuno convenga sia libera. Non conviene alle società che investono sull’isola perché con salari meno da fame dovrebbero pagare di più; non conviene agli Stati Uniti che si troverebbero a fronteggiare un’imponente ondata migratoria; non conviene agli altri stati caraibici che avrebbero un concorrente in più. Ma verrà il giorno in cui tutto questo finirà. E io sarò la prima a cantare per la mia gente.Cosa si aspetta dal primo Papa latinoamericano della storia?Penso che con la sua franchezza e la sua autenticità Bergoglio sia la figura di cui la Chiesa aveva bisogno per riconquistare la fiducia un po’ erosa in questi anni.Ed ora?Sto scrivendo un musical sulla mia vita. S’intitolerà <+corsivo>On your feet<+tondo> e conto di portarlo a Broadway tra un paio d’anni. Io e mio marito siamo già alla ricerca di una Gloria e di un Emilio con trent’anni di meno. Racconterà la mia storia, dall’infanzia cubana al ritorno sulle scene dopo l’incidente che nel ’90 rischiò di lasciarmi paralizzata.