Agorà

CALCIO. Zeman, l'ultimo dissidente del pallone

Ivo Romano mercoledì 18 agosto 2010
Il solito, Zdenek Zeman. Il grande eretico del calcio italiano, quello di sempre. «Non cambi mai», gli cantava Venditti quando allenava la Roma. E lui a 63 anni non cambia. E anche se il tempo è passato, qualcuno ha deciso che deve ripartire dalle retrovie, 16 anni dopo torna sulla panchina del suo Foggia (Prima divisione), un tempo Zemanlandia. Dicevano fumasse di meno: falso. «Ora che sono tornato in campo sottraggo quattro ore al fumo: due allenamenti di due ore ciascuno. Non vado al cinema da 30 anni, da quando è vietato fumare...».Vero che le hanno anche vietato di allenare la Juventus?«Anche se qualcuno ci avesse pensato, non me l’avrebbero mai permesso. L’ambiente è quello, i tifosi non mi avrebbero accettato. E spesso nel calcio comandano loro. Peccato, sarebbe stato bello... Forse l’unica Juve in cui sarei stato bene era quella di Boniperti».Grandi squadre a cui è stato vicino in passato?«Real Madrid, Barcellona, Inter...». Come mai non se ne fece nulla?«Avevo già dato la mia parola ad altri. E per me la parola vale più di ogni altra cosa».Quasi due anni di stop: cos’ha fatto?«Giocato a golf, per quanto incredibile possa sembrare. È uno sport che odiavo, anzi non lo considerano neanche tale. Invece mi piace: si usa il cervello, aiuta a rilassarsi».Nessuna offerta per tornare in panchina nel frattempo?«Alcune, ma non tali da convincermi».E la tv non l’ha cercata?«Offerte anche lì, per fare il commentatore. Tutte rifiutate. Non c’è libertà, non si può dire quel che si pensa. La tv dice bugie, deve vendere un prodotto, sento colleghi parlar bene di partite che conciliano il sonno».Cosa guarda allora in televisione?«Eventi sportivi, niente chiacchiere. Anzi, quando seguo le partite di calcio abbasso completamente il volume».Altri programmi?«Uso molto il telecomando. Politica? Ne sto lontano. Penso che i politici debbano fare l’interesse della comunità, ma purtroppo questo non sempre avviene».I Mondiali cosa le hanno detto?«Spagna, Germania, Olanda. Mi sono piaciute le squadre che hanno cercato di proporre gioco prima di provare a distruggere quello degli avversari».E l’Italia di Lippi?«Lo specchio del movimento. C’erano già avvisaglie: tutti i club in Europa vanno male, esclusa l’Inter, che di italiano però ha ben poco».Nel calcio attuale qual è il suo modello?«Il Barcellona, per il gusto del gioco. Curano i vivai, come la mentalità. Al momento, non c’è di meglio. Mica è un caso se al Nou Camp ci sono 100 mila spettatori a partita».Altra storia qui da noi...«C’è chi dice che la gente in Italia non va allo stadio per colpa degli impianti. Invece no, è perché manca lo spettacolo. E chi lo cerca lo si ammazza in fretta...».Il suo calcio ideale?«Quello inglese. Mi piace per come è vissuto, per come lo si considera ancora un gioco. I club però sono un’altra cosa...».Ci andrebbe ad allenare in Premier?«Sicuro. Una volta pensavo di poter vivere solo a Praga, poi sono rimasto in Italia perché mi sono innamorato di Palermo e di Mondello. Oggi potrei vivere dovunque».Una definizione di Zeman allenatore.«Razionale».E come mai la gente pensa il contrario?«Non la gente, solo qualche addetto ai lavori. La gente è da sempre con me».Un allenatore che le piace?«Chi riesce a costruire. Hiddink, ad esempio. Lo ricordo con la Corea: prese dei semisconosciuti, ne fece una squadra. Passò da uno 0-6 in amichevole con la Repubblica Ceca al miracolo del Mondiale. E s’è ripetuto con l’Australia».Cosa non sopporta dei colleghi?«Quelli che dicono: mi piace cambiare 3-4 moduli nella stessa partita. Penso sia già difficile insegnarne bene uno».La sua hit-parade dei calciatori italiani?«Rivera, Baggio e Totti»Il migliore di sempre?«Maradona, il massimo. Come allenatore? È partito male: un selezionatore deve prendere i migliori, lui non l’ha fatto».Lo sportivo italiano che preferisce?«Valentino Rossi. È uno fuori dalle righe. Un po’ matto. Del resto, per fare il motociclismo bisogna esserlo».Zeman crede in Dio?«Sì, sono cattolico. In qualcosa si deve pur credere. Ma non prego e non porto rosari in panchina. La fede non c’entra col calcio».Cosa sogna per il futuro?«Di star bene in salute e di vivere bene insieme alle persone cui sono legato. Poi in campo vorrei continuare a trasmettere le mie idee ai ragazzi: se ci riesco sono contento, altrimenti divento molto triste e fumo...».