Agorà

LA GUERRA DEL VIDEO. Siddi: «Il governo rispetti le tv locali»

Lucia Bellaspiga mercoledì 3 agosto 2011
Duemila e seicento persone che dall’oggi al domani potrebbero restare senza lavoro, «e parliamo solo dei giornalisti. Poi c’è tutto il resto». Franco Siddi è il segretario generale della Fnsi, la Federazione nazionale della Stampa italiana, e fa i conti con la concretezza che il suo ruolo gli impone: «Se davvero si verificasse quella che voi di Avvenire avete molto bene chiamato la "tele-mattanza" delle televisioni locali, questo sarebbe il risultato più immediato. E non certo l’unico».Un fatto gravissimo, tra l’altro in tempo di crisi e di disoccupazione galoppante.A causa delle nuove norme, la previsione è che su 580 emittenti locali ben 250 potrebbero essere messe a tacere. Il fatto è che ha prevalso la volontà del governo di fare cassa mettendo all’asta alcune frequenze, per incassare 3 miliardi e 100 milioni di euro: un’operazione tecnocratica che guarda ben poco alle persone e alle imprese e favorisce i soliti noti, ovvero l’ex duopolio, ormai divenuto tripolio, delle grandi emittenti a scapito di quelle minori. Mi si potrebbe chiedere perché noi, che siamo un sindacato, ci scaldiamo tanto per la sopravvivenza delle imprese: rispondo allora che il lavoro c’è solo se le imprese sono sane, è interesse di tutti. Dovrebbe esserlo anche del governo.La Fnsi ha invitato il ministero dello Sviluppo economico e l’Agcom, l’agenzia che controlla le telecomunicazioni, a un sussulto di responsabilità.È un appello che ripeteremo all’infinito e che non può assolutamente restare inascoltato. Questa norma va cambiata, ministero e agenzia non possono rimpallarsi la responsabilità. Il passaggio al digitale terrestre doveva essere una grande opportunità per il pluralismo, invece stiamo assistendo a una vera selezione genetica che lascia sopravvivere solo i forti e strangola i deboli. Che poi sono deboli solo quanto a possibilità economiche e grandezza, perché in realtà rappresentano un immenso patrimonio sociale e culturale.Se dovessero tacere, ad esempio, le tante emittenti comunitarie, o quelle che trasmettono in dialetto o addirittura nelle lingue locali, sarebbe una perdita incalcolabile.Queste emittenti, le più vicine al cittadino, sono seguitissime, fanno parte ormai della vita comunitaria. Spegnendole, spegneremmo una fetta di vita dei cittadini italiani. Non scordiamo che dal 1978 a oggi queste tivù, insieme ai fogli di informazione territoriale, scandiscono la vita quotidiana di città e paesi, conservano culture e identità, informano su ciò che accade accanto alla propria casa. Hanno maturato un sistema di comunicazione e informazione non solo pluralista, ma ricco di punti di vista. Sono l’unico antidoto agli esiti negativi prodotti dal tripolio televisivo nazionale.Spieghiamo bene ancora una volta: che cosa rischia di strangolarle?Il riordino era necessario, alcune frequenze cioè andavano liberate per dare spazio alla comunicazione civile, ovvero all’uso dei telefoni. Per questo si sono dovute riassegnare le frequenze secondo un nuovo assetto, ma ciò è avvenuto aumentando ulteriormente gli spazi dei "pesci grandi", Rai, Mediaset, Sky e Telecom, che non ne avevano bisogno, a scapito dei piccoli. I quali ora, per continuare a trasmettere, dovranno affittare tali spazi dai grandi colossi. Così i soliti noti potranno fare ulteriori budget sulle spalle di chi fa vera informazione. E le piccole emittenti ci rimettono triplamente: non solo hanno appena dovuto reggere i costi del passaggio al digitale, ma ora da una parte dovranno pagare l’affitto ai grandi per poter restare nell’etere, e dall’altra perderanno a loro volta i ricavi che prima avevano essendo a loro volta vettori di altre emittenti. È un vero collasso, e si badi bene che non è un tema da specialisti, questo, ma una politica che ha riflessi sulla vita concreta della gente normale.Basti vedere, appunto, i posti di lavoro a rischio.Queste emittenti vengono azzoppate proprio nel momento in cui facevano il massimo sforzo per creare progressivamente una realtà di relazioni ben organizzate, con contratti di lavoro che fino a qualche anno fa erano disparati, mentre ora avevano dato vita a una nuova generazione di veri giornalisti, solidamente impiegati. La mattanza è doppia, dunque, per imprese e lavoratori.Ma, a parte Avvenire, qualcuno si è accorto di quanto sta accadendo?I giornali locali sono attenti, perché vivono condizioni simili e spesso sono loro stessi gli editori delle piccole televisioni. Invece temo che la grande stampa nazionale, a parte voi, in questo momento sia presa da altri temi che "bucano" di più nel dibattito politico, ovvero dalle chiacchiere. Evidentemente chi è portatore di un sistema di valori avverte di più i problemi veri. Eppure questo è un tema centralissimo, che va a toccare la qualità della vita pubblica, ma anche il sistema dell’informazione, oltre che del lavoro.