Agorà

INTERVISTA. Cosmi: «Sto con Pep. Fuori i pazzi dal calcio»

Massimiliano Castellani lunedì 30 aprile 2012
Si aggiusta la coppola grigia, si sbraccia in gilet dalla panchina, si sgola, ma non urla più crozzianamente «se sbagli el crosse ti spezzo le gambe Liverani!», però in questo mondo sempre un po’ scandaloso e che cambia faccia, idea e allenatore, a ogni soffio di vento, Serse Cosmi è sempre lo stesso. “L’uomo del fiume” continua ad andare controcorrente nello stagno del pallone italico e non solo. Così nel dicembre scorso è arrivato fino al mare del Salento e nelle poche ore libere concessegli dalla “missione salvezza” del Lecce, che lo occupa 24 ore su 24, pensa, mangia pasticciotti, sogna e riflette sul presente e sul futuro del nostro calcio sulla riva di Porto Cesareo. Partiamo da questo suo Lecce che con l’anno nuovo si è messo a viaggiare a una “media scudetto”: l’ha trovato ultimo in classifica con 8 punti e lo ha portato a quota 35, a una sola lunghezza da quel quartultimo posto che significa permanenza in Serie A. «Una salvezza che arriverà all’ultimo minuto dell’ultima giornata», continua a ripetere come un mantra.Ma come è stato possibile rattoppare una “difesa colabrodo” (51 gol subiti) e rianimare una squadra che sembrava spenta e già con un piede in B?«Quando sono arrivato li ho guardati in faccia uno a uno e gli ho detto: vi ho visti giocare, non siete affatto da retrocessione, possiamo ancora farcela. Il segreto di questi risultati è che si è creato un mix perfetto tra i “veterani”, Oddo, Di Michele Giacomazzi, Delvecchio, Bojinov e i “giovani di prospettiva”: Bertolacci, Brivio, Muriel e Cuadrado».Questi ultimi due, i colombiani Muriel e Cuadrado, sono davvero dei fenomeni?«Piano con i paroloni. Muriel, per dato anagrafico (è un ’91) è l’attaccante più forte che abbia mai allenato, ha un’esplosività e caratteristiche simili al giovane Ronaldo, è pronto per una grande squadra, ma deve crescere ancora. Cuadrado ha già 24 anni, ha fisico e tecnica, ma va verificata la sua adattabilità in un grande club».Con loro il Lecce vola, ma nonostante i risultati positivi nel suo sguardo c’è sempre un velo di preoccupazione: per caso ha paura delle imminenti “sentenze” del Calcioscommesse?«Non è questione di aver paura, è che uno cresce e lavora fin da ragazzino convinto che esista una sola cultura di questo sport che è quella del campo e poi si trova ciclicamente a fare i conti con personaggi loschi e situazioni torbide che non dovrebbero avere nulla a che vedere con il calcio. E poi mi sono scottato già, nel 2005, da promossi in A con il Genoa ci ritrovammo in C1…».Certo, per la “valigetta di Preziosi”, patron di quel Genoa che ora è solo un punto avanti al suo Lecce. Non le dispiace doversi giocare la salvezza proprio con la sua ex squadra?«Io dico sempre che gli avversari non te li scegli, sono loro che ti si presentano di volta in volta. Certo, per il legame che ho con la città e con i tifosi avrei preferito un’altra squadra, magari anche meno simpatica, da sfidare, con ancora più rabbia, fino alla fine».Ha parlato dei tifosi genoani, come giudica gli ultimi fattacci di Marassi e la “svestizione” della maglia imposta ai giocatori del Genoa?«Brutte scene che fanno male e che mortificano un intero movimento. Mi dispiace tanto, perché so che quella non è l’immagine reale di una tifoseria sana e appassionata come quella genoana. E poi mi preoccupa il fatto che certi episodi, da noi, potrebbero ripetersi in ogni momento e in qualsiasi altro stadio».I nostri stadi parlano di scandali, violenze e addirittura di morte in campo. Il giorno che è volato via Piermario Morosini, che lei aveva lanciato in Serie A all’Udinese, ha detto che «tanti dovevano vergognarsi dinanzi a questa tragica fine»…«Mi rivolgevo a quelli che grazie al calcio fanno vite da privilegiati e non trovano di meglio che scommettere sulle partite e infangare questo splendido sport. Piermario era uno che nella sua breve esistenza aveva dovuto sopportare dispiaceri e dolori tali da tramortire un elefante e, invece, era sempre lì, forte, con il sorriso, a infondere serenità a chiunque gli stava vicino. Morosini rimarrà d’esempio per tutti».Un esempio tra i suoi colleghi, è Pep Guardiola che ha appena deciso di fermarsi perché ha detto: «Non ne posso più di questo mondo pazzo del calcio».«È la dimostrazione che neppure vincere tutto, come ha fatto lui al Barcellona, ormai basta più per reggere le pressioni assurde del nostro mondo. Il suo messaggio deve essere chiaro per tutti: diamoci una calmata e torniamo a ragionare di quello che è prima di tutto un gioco. Io spero comunque che torni presto, perché prima che un grande allenatore, Guardiola è un grande uomo, e la sua profonda cultura sportiva è necessaria in questo deserto di valori in cui viviamo adesso».Sembra stanco anche l’ex vice di Guardiola, Luis Enrique: il “progetto” sta naufragando alla Roma. Non è che il suo amico Walter Sabatini, il ds giallorosso, sta pensando di aprire un “progetto Cosmi”?«Sabatini è un amico – sorride divertito e fa una pausa –… Ma per me la Roma è diventata come quando uno, parlando con gli amici, ricorda la prima fidanzata che ha avuto a 18 anni. Un sogno di gioventù. Mi dispiace per Luis Enrique, però alla Roma hanno commesso un grosso errore: identificare tutto il “progetto” sulla figura dell’allenatore. Così, cadendo il tecnico, crolla inevitabilmente tutto».Molto meglio il “progetto Juve”. A chi lo scudetto: ai bianconeri che il suo Lecce incontrerà mercoledì prossimo o ancora al Milan di Allegri?«Alla Juve nelle ultime settimane c’hanno messo i denti oltre che le mani sullo scudetto. La voglia e la rabbia che ho visto nei giocatori bianconeri non l’ho riscontrata nel Milan. Mi dispiace che anche Conte, come noi, in settimana viene destabilizzato da queste accuse e dalle storiacce del Calcioscommesse… Sta portando a termine l’impresa più bella e importante da quando allena e gli auguro di viverla serenamente fino in fondo».E se anche Cosmi compirà l’impresa a Lecce, quale sarà poi il futuro dell’uomo del fiume?«Comunque vada, come al solito, purtroppo non dipenderà da me, ma dal tipo di “cantori” che ne parleranno e da come decideranno di descrivere quello che ho fatto o non ho fatto…».