Agorà

INTERVISTA. «Poesia, mistica in immagini»

Bianca Garavelli giovedì 28 ottobre 2010
Il poeta polacco Adam Zagajewski sarà insignito domani del Premio europeo di poesia 2010, a Treviso. Un premio prestigioso, con un’autorevole giuria internazionale, che vede da alcuni anni la partecipazione di nomi sempre importanti nel panorama europeo. Quest’anno i finalisti su cui Zagajewski ha prevalso erano gli italiani Maurizio Cucchi e Vivian Lamarque, l’irlandese John Deane e lo sloveno Marko Kravos. Nato nel 1945 a Leopoli, attualmente in Ucraina, Zagajewski ha vissuto in Slesia, in Francia, in Germania, e attualmente vive fra Cracovia e gli Stati Uniti, dove insegna scrittura creativa all’Università di Chicago. Poeta dai temi quotidiani e cosmici al tempo stesso, in cui il viaggio e la curiosità per il mondo hanno grande spazio, è a sua volta studioso di poesia; molte le sue raccolte tradotte in inglese, tra cui "Canvas" e "Myisticism for beginners". Era candidato al Nobel 2010. La sua opera poetica è in corso di pubblicazione presso Adelphi, che ha già pubblicato la sua autobiografia "Tradimento". Come possiamo definire un poeta oggi? È più un «mistico per principianti» o uno storico dei sentimenti e delle passioni?«Posso parlare solo per me stesso, naturalmente. Mi sembra che le due modalità non si escludano a vicenda. La dimensione mistica può anche essere descritta, infatti, come un sentimento che noi viviamo affrontando un mistero, il mistero del senso di tutte le cose, della vita. Ma nello stesso tempo viviamo nel sensuale, visibile, palpabile mondo, che è affascinante in se stesso. La poesia ha bisogno di cose palpabili, si nutre di immagini. Per me l’obiettivo è essere capaci di ottenere entrambi, una ricerca dell’invisibile ma anche un profondo interesse verso il visibile, verso la concretezza della vita».Ha avuto diverse residenze in varie parti del mondo: nonostante ciò, è possibile per lei chiamare un posto «patria»?«Sì, le circostanze della vita mi hanno portato in molti luoghi: Berlino, Parigi, più tardi il Texas e Chicago. Ho imparato lingue straniere e letto con interesse libri stranieri. Ma ho sempre una patria, che naturalmente è la Polonia. Io continuo a scrivere in polacco (anche se qualche volta ho scritto un saggio in inglese; mai una poesia). Ci sono due città che mi sono particolarmente care: Lwow (ora Lviv), la città barocca della mia nascita, che adesso fa parte dell’Ucraina, e Cracovia, la città in cui ho passato la maggior parte del mio tempo e dove molti miei amici vivono. È un buon posto in cui vivere. Lwow, Leopoli in italiano, è una città mitica per me. La mia famiglia ha dovuto abbandonarla quando avevo solo quattro mesi. Fu uno strano regalo per me: una città bellissima che molto presto si trasformò in un sogno».Quindi ha davvero vissuto in una dimensione europea e oggi vive in parte negli Stati Uniti: quale pensa possa essere il futuro dell’Europa?«In realtà non posso dire di vivere negli Stati Uniti, ci passo solo qualche mese all’anno insegnando all’Università di Chicago (sono membro della Commissione sul Pensiero Sociale ["Committee on Social Thought"], in cui un tempo aveva insegnato Saul Bellow e più tardi J. M. Coetzee). Il mio indirizzo principale è a Cracovia. È molto difficile dire come stia cambiando l’Europa oggi; siamo nel bel mezzo di un periodo di transizione; qualsiasi cosa si potrebbe prevedere è presto contraddetta dalla realtà. L’Europa è un buon posto in cui vivere, ma è qui che è stata inventata la nozione di "insostenibile leggerezza dell’essere". Forse abbiamo bisogno di un po’ di gravità».Com’è la vita negli Stati Uniti per un poeta europeo?«Come dicevo, non posso dire di vivere negli Stati Uniti. Ci sto solo per tre mesi all’anno e frequento soprattutto il campus. Così la mia vita negli Stati Uniti è piuttosto libresca. Adoro le biblioteche universitarie americane, molto più delle loro controparti europee. L’università americana è – o può essere –- un posto meraviglioso. Gli studenti sono molto seri, talvolta brillanti. Ho anche ottimi e seri colleghi. I campus negli Stati Uniti sono isole di onestà intellettuale, non hanno niente a che fare con l’idea semplicistica che prevale in alcuni paesi europei della "stupidità" dell’America».Nella poesia europea delle origini era presente una forte tensione verso la spiritualità. Pensa che un poeta di oggi possa essere ancora innamorato dell’anima?«Assolutamente sì, i poeti dovrebbero essere innamorati dell’anima. Ogni buona poesia, ogni grande poesia è una nuova e originale fusione dell’anima col mondo. La poesia, se si distacca dall’anima, perisce. Non significa per questo che la poesia debba essere unicamente lamentosa, disperata. L’anima ha anche senso dell’umorismo!».Lei insegna. Che suggerimento darebbe a un insegnante italiano per accendere, o accrescere, l’amore per la poesia?«Penso che un insegnante di poesia abbia bisogno, come l’anima, di un po’ di senso dell’umorismo e di molta sobrietà. Le buone poesie, quando vengono studiate con attenzione, verso per verso, offrono ricchezze inaspettate. Occorre però basarsi sul testo della poesia e non sul proprio personale entusiasmo. L’entusiasmo deve scaturire negli stessi studenti. Se questo non succede, beh, è triste. Allora non si può fare niente».