Agorà

Intervista. Favino: «Dal fondo si può risalire»

Luca Pellegrini lunedì 1 settembre 2014
Fa il muratore, Mimmo, e gli piace anche. Nei ritagli di tempo, però, insieme all’amico Roscio – che poi molto amico non è – va a recuperare i crediti per la famiglia che fa usura, un clan molto solido e unito immerso nei soliti giri loschi e nel malaffare. Non ama la violenza, ma quando gli tocca esserlo, violento lo diventa, senza guardare in faccia nessuno, eseguendo quegli ordini che gli sono stati impartiti fin da bambino. Senza nessuna pietà è il titolo evocativo dell’opera prima di Michele Alhaique, presentato al Lido nella sezione “Orizzonti”, con Pierfrancesco Favino nel ruolo del protagonista. Uscirà nelle sale l’11 settembre, dopo essere stato invitato al Festival di Toronto insieme ai tre film italiani in concorso a Venezia. L’attore incontrerà il pubblico oggi alle 18 all’Excelsior al Lido per la serie di incontri “CineCocktail”. Favino, come mai ha deciso di coprodurre questo progetto?«Ho letto la sceneggiatura molto velocemente e senza avere voglia di lasciarla. E ho capito che il personaggio di Mimmo, pur costringendomi a un cambiamento fisico di un certo tipo e ad affrontare una modalità narrativa diversa, mi avrebbe dato l’opportunità di lavorare nella direzione in cui vorrei proseguisse la mia carriera. Infine, a quarantacinque anni mi sono sentito anche chiamato a dare un contributo diverso al nostro cinema, impegnandomi personalmente per sostenere questo progetto».Mimmo vaga dentro quell’Italia brutale e pericolosa che emerge anche in altri titoli presenti quest’anno alla Mostra, da “Anime nere” di Francesco Munzi a “I nostri ragazzi” di Ivano De Matteo. Una nuova tendenza del nostro cinema?«Premesso che il nostro film alla fine una piccola speranza la concede al pubblico, credo che in generale l’atmosfera che si respira in Italia in questo momento sia piuttosto cupa. Ciascuno di noi, nelle nostre quotidianità, si trova spesso ad affrontare problemi, non solo economici, che nascono per colpa di una profonda incertezza. La paura di ciò che sarà domani evidentemente fa ristagnare lo sguardo. Questo porta forse i registi, per una loro particolare sensibilità, a immaginare storie di microcriminalità che possono avere contorni oscuri. Ma devo dire la verità: nonostante questo sia un film decisamente noir, io sono più attratto dall’individualità dei due protagonisti, Mimmo e Tanya, una escort, che in maniera assolutamente casuale riescono a ribellarsi a un destino per loro segnato. In questo io vedo una bella possibilità di futuro».Così Mimmo scopre qualcosa rispecchiandosi in Tanya, nel volto intenso di Greta Scarano che la interpreta.«Accade soltanto quando il film è finito. Però lui fa una cosa che gli viene dalla pancia. Ha un problema molto pratico: c’è un re, lo zio Santili (Ninetto Davoli), e un principe, il cugino Manuel (Adriano Giannini), e ci sono delle regole, giuste o ingiuste, che sono state seguite da tutti per tanto tempo e che ora potrebbero cambiare perché questo re sta abdicando. In un ambiente in cui la legge del più forte è sempre primaria, l’ubbidienza a questa nuova realtà dentro di lui si incrina. L’arrivo totalmente inaspettato e insperato della ragazza e lo scontro che tra loro si genera, li porterà a spaccare da dentro le loro certezze. È bello che solo l’esistenza di qualcun altro sia in grado di tirarti fuori dal cuore e dall’anima qualcosa che tu non sai di avere, scoprendo che puoi essere anche un’altra persona. Credo che questo sia in fondo il vero significato dell’amore». Mimmo intraprende un percorso di redenzione? «Nonostante la pietà del titolo, non credo ci sia in Mimmo alcun aspetto sacrificale cristiano, anche se mi sarebbe piaciuto. Però credo che quanto succede nella vita sua e di Tanya sia davvero utile. Lei, quando se ne andrà, non sarà più la ragazza di prima; lui si aspetta di poter finalmente condividere un futuro diverso. La vita, poi, fa il suo corso».