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Intervista. Barenboim: «Saluto la Scala e mi prendo Verdi»

Pierachille Dolfini martedì 9 dicembre 2014
Il consueto bilancio del giorno dopo, questa volta non è il solito per Daniel Barenboim. Perché il punto che il direttore d’orchestra fa l’indomani del Fidelio di Ludwig van Beethoven, che ha inaugurato la nuova stagione del Teatro alla Scala, diventa il bilancio di nove anni ai vertici artistici del Piermarini. «Sono profondamente felice per come è andata la serata, ma soprattutto per questi anni. Perché un risultato come quello ottenuto con Fidelio non si improvvisa, è frutto di un percorso. Il successo raccolto è frutto di un percorso iniziato nel 2005», dice il musicista argentino, prima “maestro scaligero”, titolo coniato appositamente per lui dall’ex sovrintendente Stéphane Lissner, poi, dal 1° dicembre 2011, direttore musicale. Incarico che lascerà il 31 dicembre, passando il testimone a Riccardo Chailly. «Il teatro – riflette Barenboim – lo si fa con i progetti artistici e lo si costruisce giorno dopo giorno».Dodici minuti di applausi, maestro Barenboim, che hanno accomunato tutti: direttore, cantanti, regista.«L’altra sera in sala c’era una grande concentrazione: così mi piace. Per questo sono grato al pubblico. In questi anni ho sempre sentito un calore umano incredibile e sono sempre stato stupito dall’affetto dal quale sono stato circondato».È per ricambiare questo affetto che ha deciso di presentarsi agli applausi finali con tutta l’orchestra?«Portare i miei musicisti sul palco mi sembrava doveroso: a Berlino l’orchestra ogni sera sale in palcoscenico per prendere gli applausi, è solo qui che è un’eccezione».A Milano ha portato molta musica tedesca, da Wagner sino a questo Fidelio. Ora porterà il repertorio italiano anche nella sua Staatsoper unter den Linden a Berlino?«Farò, come ho già fatto, tanto Verdi. Ma vorrei dire che l’italianità non è una questione di geografia o di passaporto. Questo in Italia lo dovete capire. Perché il passaporto non fa un interprete. Se ci fermassimo solo al passaporto io che sono argentino potrei dirigere solo il tango. Ha detto bene Riccardo Muti: “L’Italia è stato il Paese della musica, mentre ora è il Paese della storia della musica”. Giusto. Bravo Riccardo!».Nei suoi anni alla Scala ha ampliato il repertorio e ha portato regie di segno forte e contemporaneo, come quella di Deborah Warner per questo Fidelio.«Uno spettacolo profondo come è questo non lo si capisce vedendolo una sola volta, occorre vederlo e rivederlo, interiorizzarlo. Ogni volta che dirigo Fidelio mi stupisce l’oscurità dell’inizio del secondo atto che sembra anticipare il mondo wagneriano».Un autore, Wagner, che ha voluto mettere più volte sul leggio dell’orchestra.«Un mondo, quello del compositore tedesco, lontano da quello che i musicisti milanesi erano abituati ad affrontare, ma che li ha fatti crescere. Al di la del livello tecnico sempre più alto, ho trovato nell’orchestra della Scala una qualità che non ho mai riscontrato nelle altre formazioni che ho diretto: la curiosità di imparare e scoprire. Con il loro chiedere sempre il perché i professori mi hanno costretto ad interrogarmi e a dare ragione delle mie scelte».Dunque il bilancio di questi nove anni è positivo?«Se devo essere sincero all’inizio sono venuto solo per fare un favore al mio amico Lissner che, arrivato a Milano dopo le dimissioni di Muti, mi ha chiamato chiedendomi aiuto per dirigere il Concerto di Natale del 2005. Poi mi sono innamorato di orchestra e coro e ho iniziato a fare progetti. Avrei voluto fare molto di più, ma parto sereno perché tutto quello che ho fatto l’ho fatto con onestà e impegno».Quali i momenti che porterà nel cuore?«Ogni giorno trascorso qui, perché mi sono sempre sentito a casa. Qualche titolo. Il Tristano con la regia di Chéreau, le due opere russe, Il giocatore di Prokof’ev e Una sposa per lo zar di Rimskij-Korsakov, e poi il ciclo Beethoven-Schönberg».Tornerà a Milano?«Inaugurerò a novembre 2016 la stagione sinfonica della Filarmonica. Il sovrintendente Alexander Pereira, che mi vuole affidare l’oratorio sacro The dream of Gerontius di Elgar, mi ha offerto l’inaugurazione della stagione 2016-2017, ma ho detto no perché in quel periodo sarò impegnato con l’apertura a Berlino dell’Accademia Barenboim-Said, nata sull’esperienza della West Easter Divan orchestra, per dire che la musica non è solo un modo per costruirsi una carriera, ma per indagare l’animo dell’uomo e imparare a pensare».