Agorà

REPORTAGE. In Val Seriana l'industria che fu

Alessandro Beltrami venerdì 27 aprile 2012
​Chi vuol trovare la culla dell’industria lombarda venga in Val Seriana. Cinquanta chilometri che alle spalle di Bergamo si allungano prima tra morbidi fianchi e pianori quindi in un ambiente sempre più alpino fin dentro il cuore delle Orobie. Accessibilità perfetta e ampi spazi, un fiume, il Serio, ideale per fornire energia, una rete di valli minori ben caratterizzate, monti dal ventre ricco di risorse: piombo, mercurio ma anche marmo e lignite. Se ne accorsero già i Romani, che in Val del Riso, una valle ausiliaria, scavarono miniere di zinco. Rilanciate dalla Repubblica veneziana a fine Quattrocento, raggiunsero l’acme produttivo ai primi del Novecento, quando si estraevano tonnellate di blenda e calamina. Tra il 1980 e il 1982 il crollo dopo una lunga agonia. Oggi il dedalo di cunicoli è in parte visitabile grazie all’ecomuseo di Gorno, che tiene viva la memoria di una civiltà millenaria. La storia di ascese, glorie durature e cadute si ripete molte volte nel sistema di valli che ruotano attorno al Serio. La Val Gandino ha rivestito per secoli gli eserciti europei con il suo panno grosso bergamasco, un tessuto apprezzato per la robustezza e la tenuta termica. Da Leffe, il centro di maggior produzione (e dove oggi è allestito un museo del tessile), dal Medioevo e soprattutto attorno al XVII secolo i mercanti varcavano il passo del Tonale verso il Nord carichi delle pezze lavorate nelle ciodére. Ma i panni della Val Gandino presero anche la via del Sud. Venne infatti a rifornirsi alla tintoria di Prat Serval per i suoi pannilana tinti del tipico "scarlatto" Garibaldi in procinto di partire con i suoi Mille. Paradossi della storia, visto che la Val Seriana è una roccaforte della Lega Nord: qui il partito del Senatur corre da solo arrivando a percentuali tra il 40 e il 60%. I piccoli opifici nel tempo hanno chiuso. Ma chi ha saputo adattarsi ai cambiamenti si è trasformato in realtà multinazionali. Come RadiciGroup: fondata nel 1941 da Pietro che vendeva le sue coperte con il calesse, negli anni 50 ha diversificato nella produzione di tessuti, moquette, tappetini per automobili e negli anni 80 ha investito nella chimica. Oggi ha 30 aziende in tutto il mondo. L’epoca d’oro arriva a metà Ottocento quando la Val Seriana vive una vera e propria rivoluzione industriale. Innestandosi sulla tradizione artigianale secolare arrivano in massa investitori stranieri, soprattutto svizzeri: con Zopfi a Ranica, Widmer-Walty a Cene, Blumer a Nembro, Spoerry e Honegger ad Albino l’intera valle tocca livelli d’eccellenza nel tessile. Ma lana e cotone non hanno il monopolio. Nascono le industrie della carta: Paolo Pigna fonda la sua cartiera ad Alzano (dove ha tutt’ora sede, anche se è in corso una ristrutturazione aziendale e una riqualificazione del complesso), seguono quelle di Pesenti a Nembro e le cartiere Olivati. Nel 1864 a Scanzo nasce la Società Bergamasca per la Fabbricazione del Cemento e della Calce Idraulica: la progenitrice dell’Italcementi. In molti casi si tratta di una classe imprenditoriale illuminata, che contribuisce in modo significativo al miglioramento delle condizioni di vita degli abitanti. Sintomo, ed effetto collaterale, ne è l’esplosione demografica della valle che si trasforma in maniera inesorabile e definitiva. Il passato industriale è visibile ovunque. La Val Seriana è un immenso giacimento di archeologia industriale. Con i suoi camini alti 40 metri e la selva di androni, camere e corridoi, il cementificio Pesenti di Alzano Lombardo è una impressionante cattedrale del lavoro in rovina. Con i suoi 25 mila metri quadrati è stato a lungo il più grande d’Europa. Il cotonificio Honegger-Spoerry di Albino è uno dei più belli della valle e dei meglio conservati. Ed è, inoltre, uno dei pochi visitabili. Nei suoi spazi, costruiti tra il 1876 e il 1950, si arrivarono a contare 42 mila fusi e 1086 telai per la tessitura meccanica. Di grande interesse le case operaie, situate su un piccolo rilievo, edifici plurifamiliari a due piani, decorati con balconi in legno e circondati da piccoli orti. A Cene il Cotonificio Val Seriana, fondato nel 1874 ed esteso per 60 mila metri quadrati, triplicò gli abitanti. Un patrimonio dalla sorte problematica. Poche le strutture attive e per molte lo stato di degrado è avanzato. La riconversione è complessa. In vista dell’Expo la Provincia di Bergamo nel settembre scorso ha firmato un protocollo per avviare il recupero del cementificio di Alzano: 30 milioni di euro il costo previsto. Sempre ad Alzano la trasformazione dell’opificio Italcementi ha dato vita ad Alt, spazio per l’arte contemproranea. La crisi certo non aiuta: sono oltre 4000 i lavoratori della Val Seriana in cassa integrazione, di cui il 70% nei settori del tessile, della ceramica e della carta. Non c’è quasi famiglia in valle che non abbia lavorato al Cotonificio Honegger di Albino. A inizio 2008 i dipendenti erano circa 450, scesi a 390 a ottobre, quando l’azienda dichiarò altri 240 esuberi. Comune e Regione siglarono un accordo di programma per guidare una parziale riconversione dell’area in centro commerciale a opera del gruppo Lombardini, che avrebbe riassorbito 150 persone. È stato ratificato solo a giugno 2011, quando da sei mesi nel cotonificio vige la cassa integrazione a rotazione, prolungata a inizio di quest’anno fino ad agosto. Ma ai primi di febbraio l’annuncio da parte di Lombardini dell’abbandono del progetto. Epilogo? Eppure la Val Seriana ci ha abituato a finali aperti. La meccanica di precisione sembra essere la nuova frontiera. Si riparte dal piccolo e dalla ricerca. D’altronde, qui, la tradizione da secoli è innovare.