Agorà

La tradizione. Scoperta un'altra Terra: in pagina e sullo schermo, il sogno della conquista

Umberto Folena venerdì 24 luglio 2015
E adesso sveglia, alziamo gli occhi al cielo. Siamo autorizzati a sognare, a cominciare da chi sognava già. A puntare il dito verso l’alto e a spiccare un grande salto. Affascinanti mondi remoti, pianeti simili al nostro e forse, chissà, abitati da vita intelligente, come e più di noi… Stiamo esagerando? No. Ci sono momenti in cui non solo è lecito ma perfino obbligatorio abbandonarsi all’entusiasmo. Per anni l’esistenza di pianeti, e pianeti simili alla Terra, era stata un’ipotesi praticata dagli appassionati di fantascienza e snobbata da tutti gli altri. Una galassia disseminata di pianeti abitabili era materia per scrittori come Isaac Asimov, che non si accontentavano della Terra come palcoscenico e sentivano il bisogno di spaziare per l’intera Via Lattea. Oppure, ancora più in là, «in una galassia lontana lontana» George Lucas schierava imperiali e ribelli, principesse e pirati spaziali per le sue guerre stellari, portando la fiaba più lontano che si può. Però c’è lui, il grande Albert. Einstein avverte che la velocità della luce non si può superare, tarpando i nostri sogni di viaggi avanti e indietro tra i pianeti, veloci come tra Roma e Milano sul Frecciarossa o, esagerando, tra Catania e Palermo? Nessun problema, basta inventare il motore a curvatura per permettere all’Enterprise di Star Trek di pattugliare allegramente i confini dello spazio conosciuto, con una disinvoltura maggiore di chi cerca di orientarsi tra le rotonde di Rho. Se lo spazio non si spezza, noi lo pieghiamo: facile. Dan Simmons, nella saga di Hyperion, lascia l’arduo compito di scovare il modo di attraversare in un batter di ciglio gli abissi siderali alle intelligenze artificiali, che ne sanno molto più di noi (con il rischio che decidano di fare a meno di noi).  Stargate aveva fatto la stessa cosa. Apri una porta e non ti ritrovi in un soggiorno, ma tra i boschi turchesi del pianeta nebbioso Aldebaran III; oppure compri il biglietto, apri un’altra porta e ti ritrovi in tribuna per il derby di Rigel IV, tra gli octopodi di Tau Ceti, con un ottimo portiere ma pasticcioni dei dribbling, e i vermiformi di Andromeda, non velocissimi ma con grande senso tattico: entusiasmante! Kepler 452b, tieniti pronto che stiamo arrivando. Perché no? Appena un secolo fa, che sono un sospiro al cospetto della storia della Terra, ci alzavamo di pochi metri a bordo di biplani di legno e tela. Cinquant’anni dopo sbarcavamo sulla Luna. Oggi andiamo a fare il solletico a Plutone. D’accordo, a volte noi entusiasti pecchiamo di ottimismo, come Kubrik che faceva volare un’astronave su Giove nel 2001… geniale ma poco preveggente, perché nel suo film i computer sono enormi e non ci sono telefonini. I suoi consulenti, alla fine degli anni Sessanta, avevano sbagliato tutto. Come possiamo sapere come saremo e dove arriveremo tra cinquant’anni? Kepler 452b, manca poco. Trasgrediremo la legge della relatività, piegheremo lo spazio come un foglio di carta e saremo lì. Sempre che nel frattempo non siamo i kepleriani ad arrivare da noi. Come noi stiamo andando a cercare i nostri simili frugando nello spazio, non è da escludere che nello spazio altri stiano facendo la stessa identica cosa. E abbiano i loro romanzi e film di fantascienza, i loro scienziati visionari, gli scettici che scuotono il capo e dicono che è stupido investire energie in simili sciocchezze e tutto il resto. Loro scoprendo noi, e noi scoprendo loro, dovremmo essere indotti ad alzare lo sguardo, ma in tutti i sensi. Ricominciare a darci grandi mete come umanità intera. Abbandonare le nostre meschinerie da cortile. Dare un calcio agli sciocchi provincialismi e unire energie e slanci perché il nostro destino è lassù. Niente e nessuno è mai riuscito a tenerci fermi e non saranno il nostro pianeta, né le nostre mediocrità, a farlo.