Agorà

IL CASO. Il Vangelo secondo Kapuscinski

venerdì 3 aprile 2009
Un reporter "cattolico", nel senso pieno del termine. Perché, da polacco, ancorato alla millenaria tradizione cristiana del suo Paese. E perché, come pochi altri giornalisti, ha saputo raccontare le vicende di popoli e terre lontane, entrandovi con l’empatia di chi non cerca scoop a tutti i costi, ma anzitutto di comprendere la realtà. Ryszard Kapuscinski, deceduto nel gennaio del 2007, considerato il più grande cronista del mondo per i suoi reportage dalle frontiere del globo, torna in libreria con due nuovi titoli. La prossima settimana si potranno leggere Nel turbine della storia. Riflessioni sul XII secolo (Feltrinelli, pp. 192, euro 14), a cura di Krystyna Stràczek, e un volume di Mondadori nella prestigiosa collana dei Meridiani. Un libro, Nel turbine della storia, in cui Kapuscinski riflette sul senso della storia attraverso un sorvolo geografico: la Russia, per lui sempre 'l’Impero', poi l’Africa tanto amata, ma pure le coste americane del Pacifico e l’America latina, che definiva «il laboratorio del nuovo secolo». Una panoramica che diventa anche un percorso culturale attraverso esperienze umane, sociali e politiche diverse. Che però l’acuto reporter polacco guardava sempre con una prospettiva 'cattolica', cioè universale: «Ogni nostro movimento ci insegna che il nostro pianeta è popolato da sei miliardi di persone, che hanno diverse religioni, diverse lingue, diverse usanze e che tutte sono nostri fratelli e sorelle, e che tutti noi siamo un’unica famiglia umana». Kapuscinski questo disse a un gruppo di studenti altoatesini nell’ottobre 2006, colloquio confluito in Ho dato voce ai poveri (Il Margine). Un dialogo in cui, curiosamente, il celebre inviato speciale recitò il Padre nostro in latino! Il cristianesimo di Kapuscinski era tanto radicato e radicale quanto discreto e silenzioso: «Era certamente un cattolico praticante che però non amava l’ostentazione della sua fede: era profondamente cristiano, ma non voleva dichiararlo con clamore». L’annotazione autorevole arriva dalla voce di padre Adam Boniecki, caporedattore del diffuso settimanale di Cracovia Tygodnik Powszechny. La vedova di Kapuscinski chiese a questo prete di tenere l’omelia per il funerale del marito: «Venne celebrato nella chiesa di Santa Croce di Varsavia dal cardinale Jozef Glemp: c’era tantissima gente», ricorda Boniecki, che tenne il ricordo funebre del defunto prima dell’interramento nel cimitero di Powazki. «Ricordo che Kapuscinski in un’intervista disse che ogni volta che arrivava in un posto nuovo in Africa, la gente gli chiedeva come prima cosa: mister, lei crede in Dio? E lui, diceva, rispondeva di sì. E commentava che era quasi costretto a dare conto della sua fede alla gente». Padre Boniecki ricorda poi le amicizie del globetrotter polacco con i missionari d’Africa: «Aveva una rete molto estesa di contatti con i missionari gli erano di grande appoggio nei suoi viaggi. Siccome si spostava sempre in condizioni precarie e con pochi soldi, faceva molto affidamento su di loro. In Ebano c’è il bellissimo ricordo di un missionario, solo e ammalato, sperduto in Camerun, con la sorpresa di Kapuscinski che gli chiede il perché di quella presenza». Boniecki rintraccia nel percorso, intellettuale e professionale, dell’autore di Imperium e Lapidarium (per citare due tra i suoi più famosi libri) una sorta di parabola: «All’inizio della sua carriera era un giovane cronista della stampa affiliata al regime comunista. Poi, da adulto, ha raccontato i poveri del Terzo mondo, seguendo l’aspirazione cristiana che gli era andata maturando». Anche perché - lo scriveva l’International Herald Tribune in occasione della morte ­Kapuscinski nel 1981, all’epoca degli scioperi di Danzica, «si impegnò con il movimento di Solidarnosc e per questo il governo di Jaruzelski lo privò dell’accreditamento ufficiale di giornalista». «Ammirava moltissimo Giovanni Paolo II e ne era entusiasta», rievoca padre Boniecki. Tra il reporter nato a Pinsk, nell’attuale Bielorussia, nel 1932, e Wojtyla ci fu un contatto culturale di grande spessore: padre Jòsef Tischner (1931-2000), brillante filosofo, docente all’Università Jagellonica di Cracovia, intimo del pontefice polacco. Propugnatore di una filosofia del dialogo 'radicale', capace di includere anche il concetto di 'sacrificio per l’altro', secondo Kapuscinski padre Tischner poteva stare alla pari di pensatori quali Martin Buber, Gabriel Marcel e Franz Rosenweig. «L’alto valore della sua filosofia è dovuto proprio al fatto di intervenire coraggiosamente e a viso aperto in difesa dell’altro uomo, in difesa dell’altro in un mondo così spesso arreso alle tentazioni dell’egoismo e del frenetico consumismo»: così scriveva l’inviato speciale dell’agenzia Pap in L’altro (Feltrinelli). Secondo Kapuscinski, sono questi pensatori dell’Altro a rispondere meglio alle sfide della modernità, in particolare dopo i regimi totalitari del Novecento, molto più di Theodor Adorno o Hannah Arendt: «Nelle teorie di questi [ultimi, ndr] pensatori a un certo momento comincia a mancarci qualcosa: avvertiamo la mancanza dell’individuo, l’uomo concreto, l’io concreto, l’altro concreto».