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LA MORTE DI JOBS. Il testamento: «Siate affamati e siate folli»

Gigio Rancilio venerdì 7 ottobre 2011
Il vero lascito di Steve Jobs al mondo non sono tanto gli oggetti che ha inventato (molti dei quali destinati già al museo Apple), quanto un suo discorso di 14 minuti e 35 secondi, visibile da tutti su Youtube. È vero che ogni volta che un uomo muore, le sue parole aumentano di corpo (se scritte) e di volume (se dette). Diventano più importanti. Acquistano un peso maggiore. Eppure, risentire oggi il "testamento spirituale" di Steve Jobs, fa davvero effetto. A partire da quella frase finale che è diventata il suo titolo: «Ragazzi, siate affamati. Siate folli». Perché davvero pochi adulti (siano essi genitori, preti o insegnanti illuminati), ormai, dicono ai ragazzi di essere «affamati e folli». Affamati di sogni, di vita e di speranza. E folli al punto di osare il tutto e per tutto per seguire il proprio cuore e cercare la vera felicità. Eppure a dirlo ai neolaureati dell’Università di Stanford, il 12 giugno 2005, fu Jobs in persona. Lui che era uno degli uomini di successo più importanti del mondo ma non era laureato. E, peggio ancora, aveva lasciato il college dopo soli 18 mesi di frequenza. Tanti ricordano quello slogan. Ma pochi ricordano cosa Jobs aveva detto a quegli studenti pochi minuti prima di pronunciare quella frase. Steve non aveva parlato loro di soldi o di successo, ma aveva fatto un’altra di quelle cose che gli adulti amano molto poco: aveva parlato loro della morte. Della sua (Jobs sapeva di avere un tumore al pancreas da un anno circa) e della loro. E l’aveva fatto senza fronzoli. «Nessuno vuole morire ma nessuno gli è mai sfuggito. Ed è così che deve essere perché la morte è con tutta probabilità la più grande invenzione della vita. È l’agente di cambiamento della vita. Spazza via il vecchio per far posto al nuovo. Adesso il nuovo siete voi, ma un giorno non troppo lontano diventerete gradualmente il vecchio e sarete spazzati via». Poi, vedendo forse qualche volto spaventato, aveva detto come un buon fratello maggiore: «Ve lo dico perché capiate che il vostro tempo è limitato, per cui non lo sprecate vivendo la vita di qualcun altro. Abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione. In qualche modo loro sanno che cosa volete realmente diventare». E parlando di sé, aveva aggiunto: «Ricordarmi che morirò presto è il più importante strumento che io abbia mai incontrato per fare le grandi scelte della mia vita. Perché quasi tutte le cose – tutte le aspettative, tutto l’orgoglio, tutti gli imbarazzi e i timori di fallire – semplicemente scompaiono di fronte all’idea della morte, lasciando solo quello che è realmente importante. Ricordarsi di dover morire è il modo migliore che io conosca per evitare di cadere nella trappola di chi pensa che avete qualcosa da perdere. Siete già nudi. Non c’è quindi ragione per non seguire il vostro cuore». Durante il suo discorso di 14 minuti e 35 secondi, Jobs non aveva elencato le sue invenzioni o le cifre del suo conto in banca. Aveva parlato loro dei suoi tanti "fallimenti". Della madre che l’aveva abbandonato, del college lasciato dopo soli 18 mesi e di quando l’Apple, che lui aveva cofondato, l’aveva licenziato. «Ero devastato. Per mesi non sapevo cosa fare. Pensai di scappare via dalla Silicon Valley. Ma amavo il mio lavoro. Allora non lo capii, ma il fatto di essere stato licenziato fu la migliore cosa che potesse succedermi. La pesantezza del successo fu presto rimpiazzata dalla leggerezza di essere di nuovo un debuttante senza più certezze. Mi liberò dagli impedimenti facendomi entrare in una fase molto creativa». Anche in questo punto aveva scelto di essere molto diretto: «Qualche volta la vita colpisce duro. Non perdete la fede, però. Continuate a cercare – negli affetti come nel lavoro – qualcosa che valga davvero la pena di amare. L’unico modo per fare un buon lavoro, infatti, è amare quello che si fa». Adesso che Jobs è morto, con una fine così drammatica e prematura, questo suo «testamento spirituale» appare ancora più forte di sei anni fa, quando lo pronunciò. Il suo «Siate affamati. Siate folli», da ieri rimbalza in centinaia di siti Internet. Peccato che tanti dimentichino, come invece disse agli studenti quel giorno Steve, che quelle parole non sono sue: «Erano scritte sull’ultima pagina di una rivista, <+corsivo>The Whole Earth Catalog<+tondo>, che leggevo da ragazzo. L’aveva creata Stewart Brand e ci aveva messo dentro tutto il suo tocco poetico. Nell’ultima pagina, dell’ultimo numero, il suo messaggio d’addio fu quella scritta: "Siate affamati. Siate folli"». I pc non esistevano ancora. Il mito di Jobs nemmeno. Ma quelle parole legate a un fallimento (la chiusura di una rivista che era una sorta di Google, 35 anni prima che venisse inventato il motore di ricerca più famoso del web) hanno fatto entrare nella storia un 17enne «affamato», il quale, dopo averle lette, ha provato a metterle in pratica. Nella sua vita è caduto, ha sbagliato, ha sofferto, fatto la fame e si è ritrovato 50enne a lottare contro un tumore. «Ma ho sempre guardato al futuro con un occhio al passato e sapendo che sarai dovuto morire. Perché solo guardandosi indietro con la consapevolezza di dovere un giorno perdere tutto si possono unire i puntini della propria vita».