Agorà

IL REGISTA PETER STEIN. «Il teatro è pubblico Senza fondi morirà»

Alessandro Beltrami sabato 4 luglio 2009
«Senza finanziamenti pubblici il teatro muore». Peter Stein non ha dubbi. Le sue parole, in gior­ni in cui i tagli al Fus sollevano da più parti proteste infuocate, sono sassate: «Ma in Ita­lia quali sono le logiche degli investimenti? I teatri sono nelle mani degli amministrato­ri, persone lontanissime dalle problematiche artistische. Il teatro è un affare pubblico. E fin dalle sue origini ad Atene, dove addirit­tura veniva versato un obolo per permette­re ai cittadini delle classi disagiate di assi­stere alle rappresentazioni». E prosegue: «Ci può essere la partecipazione ma non l’e­sclusiva dei privati. Altrimenti resisterebbe soltanto un teatro per modo di dire, fatto da star della tv. O da qualche bellezza che do­po essere stata presentatrice, come accade qui in Italia, si cimenta con Cechov». Il grande regista tedesco (ma che vive da an­ni nel nostro Paese e ha sposato l’attrice Maddalena Crippa) era a Milano ieri per pre­sentare I demoni, la pièce-monstre di 11 ore e con 26 attori trat­ta di suo pugno dal romanzo di Do­stoevskij. Lo spetta­colo, programmato la scorsa stagione dallo Stabile di Tori­no, aveva subito u­na storia travagliata a causa della cresci­ta dei costi conse­guenti alla durata (in origine prevista di sei ore) e dei tagli ai fondi destinati al tea­tro. Saltata la produzione torinese, Stein lo ha messo in scena il maggio scorso nella sua tenuta di San Pancrazio in Umbria, pagan­do in gran parte di tasca propria, con una­nimi consensi di critica. Lo recupera il mi­lanese Teatro Filodrammatici trasforman­dolo, per il maggio prossimo, nel fiore al­l’occhiello della sua quarantesima stagione (dedicata alla Fondazione Exodus di don Mazzi) che va dal teatro canzone di Gaber con la Crippa al Fabbricone testoriano fino a Paolo Rossi. Sperando nell’arrivo dei fon­di del Fus («al momento non sappiamo non solo l’ammontare della cifra ma neppure se arriveranno» ha detto la direzione) e con­tando nella coproduzione di teatri italiani e stranieri («per questo spettacolo abbiamo ricevuto già molti contatti»).«È impossibile condensare I demoni in 3 o 4 ore» spiega Stein, non nuovo a messe in sce­na fiume (il suo Faust durava 22 ore). «Qual­cuno sosteneva che 11 ore sono troppe, che il pubblico si sarebbe spaventato. È vero e­sattamente il contrario. Il pubblico è affa­scinato dalla durata. Si immerge nel mondo dell’autore, lo spettacolo diventa un’espe­rienza di vita». Nessuna scenografia, sul pal­co pochi mobili, quelli di casa: «È uno spet­tacolo in cui gli attori si riappropriano della scena. Direi pura 'recitazione', ma il termi­ne italiano è fuorviante perché implica uno stile di pronuncia della parola forzato. Pre­ferisco il tedesco spiel , gioco». Dostoevskij descrive un mondo che ha perso la fede nel­la religione diventando vittima dell’ideolo­gia. I demoni del titolo sono le malattie, le deformazioni, le follie di una generazione votata al nichilismo. «Dostoevskij, profetico e attualissimo, racconta le radici delle ideo­logie che hanno sconvolto il ventesimo se­colo. La sua è una descrizione visionaria del­le conseguenze del pensare moderno, ma­terialista, razionale. Oggi noi viviamo sulle macerie di quelle ideologie, ma le polveri permeano ancora l’aria che respiriamo». I personaggi finiscono tutti in omicidi, suici­di o pazzie. «Il genio dello scrittore ha con­gelato la condizione di questa umanità nel­la straordinaria figura di Stavrogin, che in­carna l’indifferenza. Quel che resta, alla fine di tutto, è il vuoto». Come reagisce l’uomo Stein? «Non sono religioso ma credo profon­damente nella forza creativa dell’uomo. L’ar­te è sempre stata connessa con il sacro. Si tratta di un legame che si è spezzato e che va recuperato attraverso il dialogo».