Agorà

INTERVISTA. Il rischio di Telemaco alla ricerca del padre

Alessandro Zaccuri mercoledì 20 marzo 2013
​Il padre-padrone non c’è più e, in tutta franchezza, non se ne sente la mancanza. Ma questo non significa che alla scomparsa – anzi, all’«evaporazione» – del padre ci si debba rassegnare. Lo psicoanalista Massimo Recalcati lo spiega a partire dalla sua esperienza clinica: «Sempre più spesso – racconta – incontro ragazzi che nutrono una nostalgia struggente per il padre. In questo assomigliano a Telemaco, che attende il ritorno di Ulisse dal mare. Come Telemaco, però, devono trovare il coraggio mettersi in viaggio, affrontando il rischio e la bellezza della ricerca». A due anni di distanza dal fortunato Cosa resta del padre? e a pochi mesi dalla pubblicazione del primo volume del monumentale Jacques Lacan: desiderio, godimento e soggettivazione  (entrambi i libri sono pubblicati da Cortina), Recalcati torna a occuparsi del tema centrale della sua ricerca, vale a dire il rapporto fra le generazioni. Che appariva terribilmente lacerato in Cosa resta del padre? e si mostra invece disponibile a una riconciliazione in questo Il complesso di Telemaco(Feltrinelli, pagine 160, euro 14). Il merito va tutto al figlio di Ulisse, insofferente dei Proci che profanano la reggia con le loro feste insensate. Un godimento mortifero, che Telemaco rifiuta non per un meccanico rispetto verso il genitore assente, ma perché vuole che nella sua vita «vi sia “padre”», come scrive efficacemente Recalcati. «Questa – spiega lo psicoanalista – è la figura dell’erede giusto».E le alternative quali sarebbero?«Quelle che conosciamo da Freud in poi. Edipo, anzitutto, per il quale il conflitto con il padre implica l’incapacità di riconoscersi come figlio. La differenza tra le generazioni è riconosciuta, ma non assunta come elemento dinamico, vitale. Tanto è vero che nel passaggio successivo, l’Anti-Edipo teorizzato da Deleuze e Guattari, il rifiuto del padre assume una connotazione ideologica, che sfocia nel mito dell’autogenerazione: basta, facciamola finita con il padre, ciascuno diventi il padre di se stesso. È l’illusione di poter cancellare il debito, la provenienza, in una parola quella “mancanza” che, per Lacan, rappresenta il nucleo stesso dell’esperienza umana».Edipo e Anti-Edipo sono gli avversari di Telemaco?«Il nostro, in realtà, è anche il tempo di Narciso, secondo una deriva che lo stesso Deleuze aveva intuito in una fase successiva della sua riflessione. L’evaporazione del padre, infatti, avviene sullo sfondo della contestazione giovanile degli anni Sessanta e porta al superamento di una figura paterna tutta sbilanciata sul versante normativo. Il padre con il bastone, potremmo dire. Il problema è che nel frattempo è intervenuto quello che Lacan definiva, in modo allusivo, “il discorso del capitalista”. In questo modo la pretesa di autogenerazione, già caratteristica dell’Anti-Edipo, si è tradotta nel mito di Narciso, che rovescia il rapporto simbolico tra le generazioni. Non si accontenta di disobbedire alle leggi della famiglia, ma pretende di imporre il proprio capriccio come legge alla famiglia».Qual è la principale virtù di Telemaco?«Il fatto di offrire un modello costruttivo, non nichilista. Il suo atteggiamento ci mostra come l’atto di ereditare non si esaurisca mai in un travaso di beni, o di geni, ma implichi la necessità di mettersi in moto, di affrontare il rischio».Potrebbe sembrare una figura solitaria...«Il giusto erede è, in primo luogo, un orfano, se non altro perché mette in conto l’eventualità di perdersi. Oggi nessuno è destinato a ereditare un regno e i giovani, in particolare, si trovano a misurarsi con un mondo in costante pericolo. Ma questa è, appunto, la condizione di ogni erede. Quello che ci viene trasmesso è sempre un vuoto, nulla e nessuno garantisce mai che la felicità alla quale la nostra esistenza aspira sia veramente soddisfatta».Mi scusi, ma allora qual è l’eredità che i padri possono mettere a disposizione?«Mai come in questo momento la paternità è questione di testimonianza. Da articolare in tre momenti cruciali: l’atto, ossia la capacità di incarnare nelle proprie azioni un desiderio che si trasmette per contagio; la fede, intesa come fiducia nel desiderio che il figlio nutre per sé; la promessa, che è il gesto di chi indica l’esistenza di un orizzonte di autentica libertà. Il padre deve saper promettere che, se ci si mette in movimento come ha fatto Telemaco, si può incontrare una forma di godimento assai più ricca e gratificante rispetto a quella che la società attuale cerca di imporci».Esiste un padre così?«Pensi a quello che è accaduto al Pontificato nelle scorse settimane. Sia Benedetto XVI, con la sua rinuncia, sia Papa Francesco, con quella sorta di genuflessione al contrario compiuta davanti al popolo che lo acclamava, hanno dimostrato che è possibile andare al di là dell’evaporazione del padre. Se davvero il grande timore della contemporaneità è quello, denunciato da Nanni Moretti in Habemus Papam, che perfino il Papa resti senza parole, l’unico modo di rifondare il simbolo sta nella concretezza della testimonianza. Questa è la vera funzione educativa che anche i genitori possono svolgere: testimoniare. O, meglio, fare in modo che i figli incontrino finalmente un testimone».