Agorà

Il ricordo. Il «prof» Lolli e le sue lezioni di pensiero critico

Lorenzo Galliani domenica 19 agosto 2018

Claudio Lolli (1950-2018)

Venerdì 17 agosto è morto il cantautore bolognese Claudio Lolli. Qui il ricordo di un suo studente.

Era il 2000, e il passaggio di millennio si fece sentire anche sui banchi: dalla scuola media delle suore mi ritrovai al liceo, di colpo, ad avere in classe il sessantottino Claudio Lolli. Non lo conoscevamo come cantante, e lui si guardò bene dal dircelo, così al Leonardo Da Vinci di Casalecchio di Reno (Bologna) imparammo ad apprezzarlo anzitutto come professore. Fu Sergio, un giorno, ad attaccare lo stereo facendoci ascoltare una sua vecchia cassetta: il segreto era stato svelato, avevamo un prof famoso. «Ascoltate buona musica', rispose Lolli con un po’ di imbarazzo. Era stato scoperto. La sua morte, venerdì scorso, non è stata invece una sorpresa: da tempo si diceva che stesse male e non era purtroppo una voce infondata. I titoli dei suoi temi ci costringevano a fare esercizio di fantasia e riflessione. Spesso le tracce erano su argomenti impegnati – dalla politica alla psicologia – sui quali, quasi sempre, si discuteva un bel po’ in classe. «Ci lasciava anche tre o quattro ore di tempo, perché non si accontentava del classico “temino” – ricorda Piero Pisano, anch’egli studente del professor Lolli –. Voleva vederci riflettere».

Senza tirarsi indietro, dicendo la sua facendo emergere il suo vissuto di militante di sinistra. Partecipava al dibattito (innescato da un film, una lettura o un titolo di giornale) «con la capacità – riprende Piero – di essere al nostro livello, faccia a faccia, ma senza fare l’adolescente, senza confondere il suo piano di professore con quello di noi studenti». Qualche volta ci proponeva invece l’inizio di un giallo, per vedere come saremmo stati capaci di svilupparlo. Sarebbe stato bello confrontarlo con quello che avrebbe scritto lui. Al centro però c’eravamo noi, con le nostre storie e le nostre vite che a lui interessavano. All’epoca, ammetto, non lo seppi apprezzare quanto meritava. Quando parlava della Chiesa – e ogni tanto non resisteva – io, cristiano senza troppo spirito critico (l’età adolescenziale era un’attenuante), mi irritavo. La descrizione dei cattolici fatta nella sua Borghesia, menefreghisti verso il mondo ma contenti “se la parrocchia del Sacro Cuore / acquista una nuova campana”, mi sembrò troppo ingenerosa. Oggi invece quello stesso verso può diventare un sano pungolo, e far pensare a cosa davvero si dà valore nella propria vita. Era un professore molto sui generis, Claudio Lolli. «Non insegnava come tradizionalmente si penserebbe – ricorda Fabrizio Nardini, anch’egli studente al Leonardo Da Vinci in quegli anni – ma ha sempre trovato il modo di farci esprimere. Con lui non esisteva il “si fa così, io ti racconto e tu prendi appunti”, ma indicava una strada spiegandoci che potevano essercene anche altre». E il suo aspetto esteriore che poteva sembrare un poco triste, riprende Piero, era invece accompagnato da «una capacità di scherzare, fare battute, magari sfruttando qualche nostro strafalcione grammaticale».

Al mal di pancia verso le rigidità dei programmi – in latino accumulava più ritardi di un treno regionale – si univa un senso di fiducia sul fatto che i suoi ragazzi avrebbero (avremmo) potuto costruire un mondo migliore. Forse non è andata così. E oggi anche i suoi “zingari felici” del liceo sono più tristi.