Agorà

Il calcio che verrà. Il protezionismo nel pallone

Massimiliano Castellani giovedì 12 novembre 2009
«Solo un pazzo oggi comprerebbe l’Inter o il Chelsea...». Parola del capo supremo della Uefa, Michel Platini, in riferimento alle perdite economiche dei due club in questione. L’Inter ha subito smentito di avere debiti, ma nessun “pazzo” fino ad ora si è fatto avanti per rilevare la società di Massimo Moratti. Platini a sua volta, ha fatto marcia indietro, per non farsi nemici in Italia e spostando le attenzioni sulle anomalie massicce dei club della Premier inglese, ormai in mano alle multinazionali.Un pericolo che per ora noi non corriamo, anche perché alle porte di Roma, Bologna e Bari si sono presentate delle cordate fantomatiche in rappresentanza, nell’ordine, di: venditori di fumo più che di gas russo, l’improbabile albanese Taçi e il cinematografico “Mister dollar” Tim Burton. Almeno il pallone in Italia è ancora in mano agli italiani e quello della difesa del “Pil calcisitico” è tornato ad essere un argomento centrale, anche grazie all’assist di Platini. «Ci sono troppi stranieri nel calcio e nel basket italiano», ha tuonato ancora ieri il presidente del Coni, Gianni Petrucci. Limitandoci al calcio, è appurato che a conferma del suo nome - l’Internazionale - la squadra di Mourinho schiera in campo una media 10 stranieri su 11 giocatori nerazzurri. Di questo passo addio ai vivai e ai talenti nati e cresciuti in casa nostra. Ma le entrate e le uscite del sistema calcio italiano, avvengono in casse, scricchiolanti quanto si vuole, ma ancora in perfetto tricolore-style. C’è anche da dire che da noi l’invasione straniera dei potenziali acquirenti è frenata da due variabili non marginali: peso fiscale più alto in Europa e stadi non ancora di proprietà dei club. Due fattori che riducono l’appetibilità esterna e il rischio che i casati italiani del pallone svendano alla migliore offerta forestiera. Per non correre neanche il rischio di ritrovarsi lo straniero in casa invece, i tedeschi hanno deciso di blindare la Bundesliga. Dall’assemblea di Francoforte i 36 club di prima e seconda divisione hanno votato per mantenere inalterata la norma del «50+1» che impedisce l’acquisizione della maggioranza di un club da parte di potenziali investitori non tedeschi. Bocciata dunque (32 voti contrari) la mozione del patron dell’Hannover, Martìn Kind, che chiedeva un’apertura a investitori stranieri per limitare il gap attuale tra i piccoli e i grandi club della Bundesliga. «Non vogliamo che la Russia o l’Asia controllino il calcio tedesco», gli ha risposto a muso duro il n°1 del Borussia Dortmund, Hans-Joachim Watzke. Il calcio inglese, che tanto spulcia il nostro trattandolo in modo “cialtroneston”, invece non si reggerebbe più in piedi senza i petroldollari e le ingenti somme smistate dai mercati internazionali da potenti sceicchi, discutibili magnati russi, maneggioni asiatici e americani. Sono loro i padroni di mezza League, 10 società calcistiche su 20 sono infatti appaltate da capitali provenienti da oltre Manica.L’ultimo a cadere in mano straniera è stato il Birmingham, appena acquisito da Carson Yeung: uomo d’affari di di Hong Kong che ha rilevato il 90% delle azioni del club inglese. I “cugini” del Birmingham, l’Aston Villa, appartengono da tempo all’americano Randy Lerner. Americana è anche la gestione del grande Manchester United il quale, con il Chelsea del russo Roman Abramovich, oltre alla sfida per la conquista della Premier lotta anche per il triste primato dei bilanci in rosso. Malcom Glazer ha quotato in Borsa lo United e il fatturato nella passata stagione è stato di 325 milioni di euro a fronte di perdite per quasi mezzo miliardo (più o meno la stessa cifra del Real Madrid), segue a ruota il Chelsea, ma solo di qualche pound in meno. L’indebitata ditta Usa, Hicks-Gillett che controlla il Liverpool, minaccia continuamente la cessione dei pezzi forti Torres e Gerrard, perché il tetto delle perdite è sforato a 425 milioni di sterline. Non se la passano meglio le altre compagini esterofile di Fulham, Manchester City, Sunderland, West Ham e Portsmouth. Quest’ultimo è passato da Sulaiman Al Fahim, che a sua volta l’aveva prelevato dal francese di origini russe Alexandre, ed ora è del saudita Ali al-Faraj.Anche l’Arsenal parla arabo con lo stadio di ultima generazione affidato al “title-sponsor” Emirates che sborsa un affitto da 100 milioni di sterline - fino al 2021 - per sostenere le finanze dei “Gunners”. Boccate d’ossigeno in un’Isola sempre più infelice, in cui si registra la crisi economica più nera della storia e la maggiore svendita del football “made in England” allo straniero che passa.