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INTERVISTA A ZOJA. Il prossimo?Non è un videogame

Paolo Lambruschi giovedì 23 settembre 2010
La metafora dell’eclisse del prossimo nell’era di Internet è la storia di Jerome Kerviel, il broker francese mago dei videogiochi, che nel 2007 venne scoperto a giocare e perdere in Borsa svariati milioni di euro dei clienti gestiti dai suoi colleghi scardinandone le password. E quando i giudici gli chiesero se non avesse mai avuto scrupoli morali, rispose di no. Per lui era stato come passare al livello superiore del suo videogame. Di quanto sta accadendo alla socialità, alla scomparsa dell’altro in quest’epoca di rapidi cambiamenti, parlerà a "Torino spiritualità" Luigi Zoja, psicoanalista di fama internazionale e autore, per i tipi di Einaudi, del volume La morte del prossimo (2009). Tema dell’incontro, che si terrà sabato 25 settembre alle 18,30 al Circolo dei lettori di Torino  e a cui interverrà anche il filosofo Maurizio Ferraris, sarà proprio «L’altro nell’epoca di Internet».Professor Zoja, Internet ha assassinato il prossimo?«Assistiamo a un mutamento epocale. Il terreno è stato preparato dalla laicizzazione, dal consumismo e dal calo della solidarietà nella società occidentale. Poi la tecnologia ha assestato la spallata a una porta che già scricchiolava. Anche gli zoologi dicono che l’uomo ha bisogno di relazioni, si muove in gruppo. Ma oggi la ricerca di rapporti si canalizza attraverso la tecnologia e ovviamente si perde il contatto. L’esempio più comune è quel che succede in un vagone ferroviario. Chi entra, anziché salutare gli altri passeggeri, accende il cellulare e comincia a parlare con le persone, che magari ha appena lasciato, senza risparmiare ai presenti dettagli della propria vita privata. Oggi viviamo in una contiguità eccessiva tra intimo e pubblico e Il contatto con le persone è mediato dalla tecnologia. In alcuni laboratori americani di psicologia si è tentato di oggettivizzare i comportamenti umani grazie agli strumenti messi a disposizione dalle neuroscienze. E si è visto che spesso manca la reazione morale».Vale a dire?«Ammesso che un problema simile sia quantificabile, queste sperimentazioni suggeriscono che, per avere una reazione che sia anche morale servirebbero almeno dieci secondi, tempo calcolato perché il cervello avvii una riflessione complessa su diversi inconvenienti. Invece il cervello abituato alla tecnologia contemporanea tende sempre più ad applicare l’esperienza del videogame, che si basa sulla logica "risposta giusta/risposta sbagliata". L’esempio che calza a perfezione è la vicenda di Jerome Kerviel che nell’inverno a cavallo tra il 2007 e il 2008 fu scoperto in un grande istituto bancario francese a giocare svariati milioni di euro del clienti sottratti di nascosto dai budget di altri colleghi a loro insaputa. Finché il mercato azionario tirava, anche i suoi superiori chiudevano un occhio, ma quando scoppiò la crisi lui dovette giocare somme sempre più ingenti per coprire le perdite e venne fermato. Quando gli chiesero in tribunale se alla fine non avesse provato scrupoli morali, Kerviel, che in gioventù è stato un mago dei videogame, rispose di no. Per lui era stato come passare semplicemente a un livello più alto di un videogioco». Con quali conseguenze?«Tale continuità con la tecnologia spesso fa perdere le valenze morali. E porta al bullismo tecnologico, a filmare con il telefonino la violenza fisica o sessuale su una persona per poi metterla in rete». Tutto diventa un grande gioco…«Si, direi che le radici di questa situazione si formano grosso modo su due terreni. Certamente l’affermazione tecnologica alla fine del secolo scorso. L’altra è l’anonimato della società di massa. Fino all’inizio del secolo ventesimo la maggior parte della popolazione viveva in ambito agricolo e statisticamente le persone conoscevano dai 200 ai 300 volti nella loro vita. Oggi è normale l’anonimato, il non riconoscere i visi incontrati. Quindi ci sono forti privazioni sensoriali, dicono i neuro scienziati. Il nostro sistema neurologico è merito di un’evoluzione raggiunta già nel Paleolitico fatto per società semplici nelle quali si percepivano la natura, gli animali, gli altri in un certo contesto e in un certo modo. Oggi questo sistema neuronale si trova in condizioni ambientali per così dire "impazzite". Mi colpisce ad esempio vedere quanti uomini, anche giovani, in analisi confessino di viaggiare in rete di notte su siti pornografici mentre nella stanza da letto accanto dormono moglie e figli. La tecnologia può creare nella vita quotidiana un’inibizione alla relazione fisica, entrando anche consapevolmente in un circuito virtuale che incoraggia prostituzione e pedofilia». Quali antidoti?«Mi pare che una strada sia stimolare la partecipazione e la presa di coscienza attraverso discussioni pubbliche. L’altra è l’educazione. L’ideale sarebbe una combinazione di educazione scolastica e famigliare. Ma mi pare che ci sia un’emergenza educativa che affligge molti genitori. Come i padri che lavorano troppo e  trascorrono poco tempo con i figli. E se cercano di accompagnarli a scuola in auto, per non litigare lasciano che il figliolo nel tragitto si isoli ascoltando l’I-pod. O come, nelle grandi città,  molte famiglie separate. Dove vi sono madri che svolgono anche ruoli paterni e spesso sono in difficoltà.-E padri che comunque stanno coi figli nei fine settimana, ma per paura di perderne l’affetto gli permettono di stare troppo al computer. Bisogna mettere dei limiti e recuperare la responsabilità paterna».