Agorà

IL CASO. Il prete che Kappler voleva morto

Andrea Galli sabato 28 maggio 2011
Gregory Peck in abito talare e cappello da monsignore cammina sornione in piazza San Pietro. Segue la striscia bianca dipinta per terra dai nazisti che delimita l’extra-territorialità vaticana, in procinto di attraversarla, mentre Christopher Plummer nei panni di Herbert Kappler lo tiene fisso nel mirino del fucile, appostato a una finestra di via della Conciliazione. La scena è quella del film Scarlatto e nero (1983), basato sulle gesta di una delle figure più intriganti di quegli anni: Hugh O’Flaherty, la "primula rossa del Vaticano", il prelato irlandese, che collaborando con i servizi segreti britannici, organizzò un’imponente via di fuga per soldati alleati ed ebrei nella Roma occupata. L’uomo su cui Kappler mise una taglia da trentamila lire e a cui diede la caccia come pochi tra il settembre del 1943 e il giugno del 1944. Alla vita di O’Flaherty ha dedicato un libro Stephen Walker, giornalista della Bbc, dal titolo Hide and seek. The Irish priest in the Vatican who defied nazism ("Nascondino. Il prete irlandese in Vaticano che sfidò il nazismo") pubblicato in Inghilterra da Harper Collins. O’Flaherty era nato in Irlanda nel 1898 ed era arrivato a Roma negli anni ’20, dopo l’ordinazione sacerdotale, per perfezionare gli studi. Diventato assistente di Torquato Dini, nunzio apostolico in vari Paesi, si era fatto conoscere anche nell’alta società. Abile nello stringere rapporti e ottimo giocatore di golf (sport appreso da ragazzo fra le colline della contea di Kerry) aveva incrociato la mazza con Galeazzo Ciano, il deposto re Alfonso di Spagna e soprattutto con sir D’Arcy Osborne, ambasciatore della Corona inglese presso la Santa Sede. Nella primavera del ’41 gli fu assegnato dal Vaticano il compito di visitare i prigionieri di guerra in Italia, assieme a monsignor Francesco Borgoncini Duca. O’Flaherty portava libri, beni di prima necessità e comunicava a Londra, tramite la Radio Vaticana, informazioni sui soldati inglesi. Il suo attivismo risultò alla fine sospetto alle autorità fasciste, che chiesero che venisse destituito dall’incarico. La sua rete di contatti si era però estesa e, dopo l’8 settembre del ’43, era diventato il punto di riferimento per moltissimi fuggiaschi dai campi di prigionia. Fu in quel momento che la escape line divenne un’operazione in grande stile. Sir D’Arcy Osborne, con il tacito avallo della Segreteria di Stato e in particolare dell’amico Giovan Battista Montini, assicurò i finanziamenti da Londra e mise a disposizione il suo maggiordomo, John May. A dare man forte all’organizzazione arrivò un colonnello inglese, Sam Derry. Con questi aiutanti, con la sponda di famiglie aristocratiche come i Doria Pamphilii e i Pallavicini, grazie al sostegno logistico di amici, abati e contadini fuori Roma, O’Flaherty nascose e smistò in modo vorticoso quasi seimila persone in poco più di sei mesi. Al sicuro fra le mura vaticane, se ne allontanava travestendosi, eludendo posti di blocco e pedinamenti. Scampò in modo spettacolare a due tentativi di sequestro. Il suo ruolo e la fama della sua generosità fecero sì che pochi giorni prima della liberazione lo stesso Pietro Koch, a capo dell’omonima banda di aguzzini fascisti, gli chiese per interposta persona di mettere in salvo la moglie e la figlia. In cambio avrebbe garantito per la vita di alcuni detenuti. Quando la V armata alleata entrò a Roma il sacerdote irlandese fu uno degli interlocutori del generale Mark W. Clark. Una vita da film. Anche a guerra finita. Dal carcere di Regina Coeli, dove si trovava in attesa di giudizio, Kappler scrisse all’ex nemico giurato. O’Flaherty gli fece visita. I due si incontrarono più volte e si scambiarono diverse lettere. L’Avanti denunciò quella sorprendente frequentazione, temendo che il Vaticano tramasse per la liberazione del gerarca nazista. In realtà, non emersero mai pressioni in tal senso. Quello che è certo è che Kappler a un certo punto volle farsi cattolico e venne battezzato nel 1949, in segreto, da colui che cinque anni prima voleva morto. O’Flaherty lasciò il suo lavoro al Sant’Uffizio nel 1960 e tornò nella sua terra natale, dove morì tre anni dopo. Insignito di una fra le più alte onorificenze dell’Impero Britannico, è stato ricordato e celebrato soprattutto in Inghilterra, a partire dagli anni ’50. Un’ombra è però scesa su di lui nel 2000, quando sono stati desecretati dei documenti della seconda guerra mondiale conservati negli archivi della Cia. Tra questi, un dispaccio inviato da Roma a Berlino, intercettato dagli americani, in cui Kappler comunicava i dettagli dell’imminente sbarco delle truppe nemiche a Civitavecchia e citava O’Flaherty come fonte indiretta. Il ritrovamento ha fatto scalpore: uno degli eroi della resistenza, su cui si è aperto un fascicolo allo Yad Vashem per attribuirgli il titolo di "Giusto fra le Nazioni", aveva davvero passato informazioni ai tedeschi? La biografia di Stephen Walker, la più completa scritta finora, nasce anche per rispondere a questo quesito inquietante. Il giornalista della Bbc, dopo aver setacciato gli archivi di Washington e Londra, dopo aver intervistato le ultime persone ancora in vita che sono state vicine al sacerdote (tra cui il nipote, giudice in pensione della Corte suprema irlandese, e la cantante lirica Veronica Dunne) conclude l’indagine con un’assoluzione. Non esistono altre tracce che attestino una collaborazione di qualsiasi tipo con i nazisti. Per Walker il documento scoperto, che già alcuni storici avevano invitato a prendere con le pinze, potrebbe essere un report riuscito male, oppure, contenendo informazioni errate sullo sbarco degli angloamericani, il risultato di un vero e proprio depistaggio di O’Flaherty. L’ennesimo, da parte di un maestro in tiri mancini.