Agorà

Oltre il Mondiale. Il pallone non sta male. Ma i conti non tornano

E. Raimondi giovedì 26 giugno 2014
​La crisi del sistema pallone in Italia finisce con l’eliminazione ingloriosa della nostra nazionale ai Mondiali brasiliani, ma inizia nelle casse delle nostre società calcistiche. Finiti i tempi dello “sprofondo rosso” dei bilanci degli anni passati, la situazione economica è mediamente di molto migliorata, grazie a gestioni più oculate e scelte obbligate, ma lo stato di salute dei nostri club continua ad essere di gran lunga peggiore rispetto a quello delle società estere. Al punto da contribuire agli evidenti squilibri di competitività di risultati che il campo poi denuncia.Il calcio in generale continua ad essere uno sport altamente seguito e soprattutto redditizio. Nella stagione 2012-2013 in Europa il giro d’affari ha sfiorato infatti quota 20 miliardi di euro (19,9 mld +2%), di cui quasi la metà (9,8 mld euro +5%) si è concentrata in soli cinque Paesi: Inghilterra, Germania, Spagna, Italia e Francia. E a vincere su tutti è stata la Premier League che si è confermata la divisione più ricca con ricavi per quasi 3 miliardi di euro (2,9 mld +1%), il 50% in più rispetto alla Bundesliga (2,01 miliardi +8%).Entrando nel dettaglio dei ricavi però, la fetta più consistente viene dai diritti televisivi e (solo all’estero però) dalle vendite di merchandising. In Italia, nel 2013 un miliardo di incasso, ovvero il 59% del totale, è arrivato dalle emittenti televisive. Il nostro calcio non ha saputo creare altre valide forme di introiti ed è ora ostaggio del potere del video. Il carrozzone della Serie A in particolare vive grazie ai diritti tv, altrimenti non sarebbe in grado di pagare i lauti stipendi che elargisce, soprattutto ai giocatori stranieri. Per questi i presidenti si augurano che alla fine (dopo i diritti pay domestici dovranno essere venduti quelli esteri, il chiaro e la Coppa Italia) la “torta” sia più ricca possibile. Nell’eventualità si arrivi ad una somma complessiva dal 2015 al 2018 di 1,3 miliardi all’anno, al netto di mutualità e commissioni, sarebbero 1,1 miliardi da dividere fra i club (ora sono 823).Come detto il 59% delle entrate in Italia è televisivo (47% in Francia, 43% in Inghilterra, 40% in Spagna e 23% in Germania). Solo Juve, Udinese e Sassuolo (a Reggio Emilia) hanno iniziato un percorso virtuoso con lo stadio di proprietà. Ma sono eccezioni che contano ancora troppo poco. La Lega di A sta trattando per vedere se si potrà ridurre il numero delle squadre che partecipano al massimo campionato e scendere da 20 a 18 club, ipotesi che, tutto sommato, sta bene anche alle pay tv perché il livello del gioco aumenterebbe. La commissione, voluta dal presidente Abete (ora dimissionario), ha tempo sino al 30 settembre per mettersi d’accordo, in modo che la A a 18 (e la B a 20) possano andare a regime dal 2015-2016, proprio quando scatterà il nuovo contratto tv. Tempi questi che dato l’alto grado di litigiosità esistente in Lega, sembrano quasi impossibili da rispettare.