Agorà

FILM FESTIVAL. Il crac Lehman come un thriller

Luca Pellegrini giovedì 3 novembre 2011
Dall’alto del loro Olimpo costruito su denaro e potere, gli dei della finanza gestiscono stati, patrimoni, banche, riserve, mercati, proprietà, ma soprattutto il futuro dei cittadini. Perché agiscono senza regole, o almeno lo hanno fatto fino al terribile 2008? Risponde pacato Henry Paulson, allora Segretario del Tesoro americano: «Perché così si poteva guadagnare di più». L’immoralità del sistema è il serpente che ha corrotto finanza e politica, gli uomini nel giardino di Wall Street tentati dalla mela dell’onnipotenza e del successo, cosa non nuova sulla terra. Nel 2009 Andrew Ross Sorkin affrontò in un fortunato best seller retroscena e scandali che avevano contaminato il sistema, Curtis Hanson ha ripreso la scottante materia condensandola in un film omonimo, Too big to fail - Il crollo dei giganti. Si tratta di un frenetico dietro le quinte di ciò che accadde attorno alla Borsa americana e ai palazzi del potere economico e politico nei mesi drammatici del fallimento della banca d’investimenti Lehman Brothers. Presentato fuori concorso al Festival di Roma, sarà trasmesso domani alle 21.10 su Sky Cinema 1HD.Nulla di più attuale, con il crollo del mondo finanziario che sta avvenendo in questi giorni in Europa. Un cast di attori validissimi – William Hurt, Paul Gamiatti, Billy Crudup, Bill Pullman, James Woods, Cyntia Nixon – sono associati a personaggi che il pubblico dei non addetti ai lavori ricorda a stento: Ben Bernanke, Timoty Geithner, Jamie Dimon, Warren Buffett e Dick Fuld, che firmò la condanna a morte, appunto, della Lehman da lui amministrata. Indimenticabili sono le foto degli attoniti dipendenti andarsene con gli scatoloni per le strade di New York. Nel suo film Hanson distilla, con una documentazione capillare alle spalle e un vortice che coinvolge tutte le stanze del potere, rivoli d’ansia che scorrono sulla schiena di quella dozzina, abbastanza cinica, di protagonisti, e fa presagire, invece, la disperazione che sta per scorrere e scorrerà nelle vene dei semplici americani, per i quali perdere una casa è probabilmente un dramma di assai maggiori proporzioni che il milione o miliardo di dollari buttati al macero o stillati dal loro portafoglio per salvare se stessi e gli altri, una auto-medicazione e assoluzione degli eccessi e delle nequizie per la sopravvivenza del sistema. E della fiducia: Hanson pone questa parola in continuo binomio con crisi, perché mancando la prima è inevitabile che si scateni la seconda. E questo anche ai bambini arriva. Così come arriva pure il fatto moralmente tragico: il "bene comune" semplicemente gettato dalla finestra, nel vuoto dell’impunibilità, a sfracellarsi sull’asfalto della terra americana. E oggi seriamente compromesso nella più antica, e altrettanto contaminata, terra europea. Come dice William Hurt: «L’avidità di pochi rovina tutti».