Agorà

LAMEZIA TERME. I libri antimafia vanno in Festival

Laura Badaracchi martedì 21 giugno 2011
Circa settanta libri di trentadue case editrici, oltre un centinaio di relatori che li presenteranno insieme agli autori di inchieste, reportage, testimonianze, saggi e romanzi; prenderanno la parola, tra gli altri, undici magistrati, ventisei giornalisti, dieci studiosi, scrittori, amministratori locali e anche tre sacerdoti. Ad aprire "Trame" – primo festival dei libri sulle mafie, in programma a Lamezia Terme (Catanzaro) dal 22 al 26 giugno –, saranno proprio don Luigi Ciotti e don Pino Demasi, rispettivamente presidente e referente per la Calabria di "Libera-Associazioni, nomi e numeri contro le mafie"; mentre presenterà il suo libro Qui ho conosciuto purgatorio, inferno e paradiso (edito da Feltrinelli e scritto con Goffredo Fofi) don Giacomo Panizza, alla guida della comunità lametina "Progetto Sud". Organizzata dal Comune di Lamezia Terme in collaborazione con l’Associazione antiracket Lamezia, con il patrocinio dell’Associazione italiana editori e del Centro per il libro e la lettura oltre che dell’Ordine dei giornalisti, l’iniziativa è stata ideata da Tano Grasso, presidente onorario della Federazione antiracket italiana, da circa un anno assessore comunale alla cultura, che ha affidato al giornalista Lirio Abbate la direzione della rassegna (programma dettagliato su www.tramefestival.it). «Mi auguro che l’evento sia di stimolo, soprattutto per i giovani, a una formazione antimafiosa», sottolinea Enzo Caroleo, referente di Libera Lamezia Terme, presente alla manifestazione con uno stand per diffondere materiale informativo sulle sue attività ed esporre i prodotti della cooperativa Valle del Marro di Gioia Tauro, che opera su terreni confiscati. Già in cantiere il progetto che "Trame" diventi «un appuntamento annuale di confronto nazionale e internazionale», riferisce don Demasi, vicario della diocesi di Oppido Mamertina-Palmi, che ci tiene a evidenziare «questo ulteriore segno positivo e concreto a favore del cambiamento della Calabria», che tuttavia resta ancora «terra di contraddizione e il cammino per la sconfitta della ’ndrangheta è ancora tutto in salita». Ma non mancano segnali di speranza lanciati da «giovani, gente comune, pezzi di Chiesa e di istituzioni che si stanno sporcando le mani per far voltare pagina a questa meravigliosa terra. E allora ben venga questo festival, teso soprattutto ad aiutare la gente a lasciarsi alle spalle la cultura mafiosa». Mentalità che ha attraversato la vita di Giovanni Impastato, nato in una famiglia collusa a cui il suo fratello maggiore, attivista e giornalista, si è ribellato fino a essere ucciso a Cinisi (Palermo) nel maggio ’78, su mandato del boss Tano Badalamenti, lo stesso che aveva ordinato la morte di suo padre. Rimasto con la madre Felicia, l’autore rompe con la parentela e lo racconta in Resistere a mafiopoli. La storia di mio fratello Peppino Impastato (Nuovi Equilibri): «Una biografia in presa diretta «fino ai nostri giorni: perché la memoria di Peppino non è più circoscritta al Meridione», riferisce Giovanni. Che si schermisce: «Non sono uno scrittore e non voglio assumere questo ruolo; nel volume vengo interpellato dalle domande di Franco Vassia, critico musicale, scelto perché esperto in campo culturale: volevo far emergere che mio fratello non era esclusivamente un militante antimafia, ma anche un poeta e artista, categorie di persone che riescono a percepire in anticipo le trasformazioni di un’intera società». Dal valore testimoniale di un libro che sta vendendo migliaia di copie – passando per i canali informali di incontri e presentazioni in tutta Italia fino a raggiungere i connazionali a Parigi, Hannover, Berlino –, a ’Ndrangheta padana, edito da Rubbettino e scritto da Enzo Ciconte. Ex parlamentare, il primo a pubblicare nel ’92 un libro storico sulla mafia calabrese, insegna Storia della criminalità organizzata alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università Roma Tre: «Un corso frequentato da oltre quattrocento studenti all’anno», riferisce, evidenziando che la penetrazione ’ndranghetista al Nord, precedente a quella del clan dei Casalesi, «risale a oltre mezzo secolo fa e si è rafforzata attraverso i rapporti con il mondo imprenditoriale e politico. Oggi il documento più importante che bisogna studiare è il silenzio: la mafia tende a essere invisibile e a non fare rumore». Alle stesse conclusioni arriva la giornalista tedesca Petra Reski, corrispondente in Italia per varie testate e minacciata per le sue inchieste, in Sulla strada per Corleone. Storie di mafia tra Italia e Germania (Ambiente), ripercorrendo il viaggio compiuto da Cosa nostra e camorra, Sacra corona unita e ’Ndrangheta, con la strategia di «fare affari senza uccidere; la strage di Duisburg è stata un’eccezione alla regola e non si ripeterà: ha sollevato troppa polvere». Ormai le mafie sono penetrate in tutto il Paese, senza concorrenza tra le organizzazioni criminali, che collaborano nel riciclaggio come «nel traffico di droga, armi ed esseri umani per la prostituzione; più sofisticata e con almeno centosessant’anni di esperienza, la mafia italiana rappresenta un modello da imitare per quella russa, ad esempio». In questo scenario transnazionale, l’autrice ha incontrato «preti coraggiosi a Vibo Valentia, in Italia e in Germania».