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Il gesuita franco-tedesco. Theobald: «I cristiani e la fede che non ti aspetti»

Lorenzo Fazzini sabato 6 marzo 2021

Il gesuita Christoph Theobald

Teologo del cristianesimo come “stile”, gesuita, Christoph Theobald – anche grazie alla sua doppia provenienza, tedesco di nascita, francese di adozione – è la persona giusta per concludere questa serie di interviste sulle “parole del nuovo decennio” con una riflessione sull’Europa e il suo rapporto con il cristianesimo.

Il suo punto di partenza è questo: «Cosa può fare la teologia per il superamento tanto desiderato da Francesco della crisi di fiducia e di speranza in Europa». Quale la sua risposta?

Penso che sia importante non isolare la teologia dalla vita della comunità cristiana. Di fronte al refrain della crisi dell’Europa, sento ripetere l’appello ad un ritorno alle radici cristiane del Vecchio Continente. Teologicamente mi sento di correggere questo approccio. Infatti, sebbene esista una certa simbiosi fra tradizione cristiana e cultura europea, il cristianesimo non è stato l’unico contributo alla costruzione dell’Europa: vi sono stati gli apporti ebraici, islamici e del diritto romano, per esempio, secondo la logica del poliedro, più volte sottolineata da papa Francesco. Inoltre, quando si arriva a richiamare le radici cristiane d’Europa, spesso si provoca irritazione in chi cristiano non è. Personalmente penso che dobbiamo riprendere il valore della nozione spirituale dell’ospitalità. Noi siamo cittadini italiani, francesi, austriaci ed europei, ma dobbiamo comportarci come Paolo che era cittadino romano e chiedeva ospitalità con il suo essere cristiano. Ricordiamo, inoltre, come Gesù invia i Settantadue, nel capitolo 10 di Luca: mandandoli a portare la pace. Se troveranno qualcuno che accetta questa offerta di pace, essa scenderà su quanti li incontreranno. Quindi, il concetto-chiave della missione di Gesù è la pace.

A suo avviso il cristianesimo europeo ha perso credibilità per essersi poco accorto degli enormi cambiamenti degli anni Sessanta. Quali sono questi cambi?

Vorrei soffermarmi un attimo sui passaggi operati dal Concilio Vaticano II, momento di grande apprendimento da parte della Chiesa, che ha vissuto alcune mutazioni significative: in primo luogo con Gaudium et spes, poi con Dignitas Humanae e Nostra Aetate. Una volta riuniti tutti i testi del Vaticano II, si è constatato che durante gli anni successivi, la Chiesa non ha percepito abbastanza che i cambiamenti della società necessitavano anche cambiamenti al suo interno. La Chiesa non ha compreso che la storicità della società comportava anche una sua storicità, perché la Chiesa non ha una natura atemporale. La nozione di aggiornamento è la capacità di trasformazione nell’ottica della riforma. Da qui è nata la crisi post-Concilio. Oggi la Chiesa è minoritaria ma non deve trasformarsi in una setta. Di qui il problema che non si deve rifare una società cristiana ma offrire una presenza credibile del cristianesimo.

Lei afferma che la tesi della secolarizzazione non tiene in conto di alcuni avvenimenti culturali significativi nel nostro tempo: il darwinismo sociale, l’alleanza tra finanza e tecnologia, il transumanismo. Quale di questi aspetti è il più pericoloso per il cristianesimo?

La risposta la troviamo in Fratelli tutti, un testo straordinario. In effetti la secolarizzazione è un concetto un po’ astratto, molto usato dai sociologi. Il dato essenzialmente nuovo è l’affacciarsi di un nuovo umanesimo diventato autosufficiente a se stesso. Francesco l’ha ben compreso e ne ha parlato varie volte, per esempio al convegno di Firenze. Il darwinismo sociale, questa sfida di tutti contro tutti, è effettivamente terribile. L’alleanza tra tecnologia e finanza mette sotto minaccia il nostro avvenire Anche la pervasività della digitalizzazione pone rischi notevoli.

Nel vostro libro lei parla di «una fede dove non te l’aspetti». Dove incontriamo oggi la fede in Europa?

Il nodo non è porsi la questione della valenza numerica della Chiesa, ma domandarsi cosa è la fede. Viviamo ancora troppo di certezze che vanno cambiate. Dobbiamo domandarci realmente cosa è la fede. Ve ne sono di due tipi: una fede che definisco 'cristica', nel senso dei cristiani, usando il termine con cui vennero chiamati i primi discepoli di Cristo. Oltre a questa fede, bisogna indagarne anche un’altra, la fede senza la quale non possiamo vivere, una fede elementare. Gesù parla più volte di questa fede nel Vangelo: «Va’, la tua fede ti ha salvato», dice a certi malati quando li guarisce. I cristiani sono chiamati a sintonizzarsi su questa fede elementare dei nostri contemporanei. Lo abbiamo visto negli ospedali in questo tempo di covid: i medici e gli infermieri avrebbero potuto lavorare come hanno fatto senza questa fede elementare? Come afferma Francesco in Fratelli tutti, questa fede elementare si manifesta nelle realtà che alimentano la vita sociale, il buon vicinato nei nostri quartieri di città o nei paesi isolati delle nostre campagne, dove sono all’opera uomini e donne artigiani di pace che operano in una prospettiva di fraternità messianica.

La proposta teologica che l’ha reso famoso è il cristianesimo come stile, fondato sull’ospitalità dell’altro. Può fare alcuni esempi applicabili all’Europa di oggi?

Va affrontato qui il tema della presenza dei cristiani e delle comunità cristiane nella società, un tema biblico e che ha connotazioni escatologiche. Abbiamo bisogno di persone alla ricerca del mistero dell’altro. Serve un’arte della conversazione con l’altro. Ecco la questione definitiva: la comunità cristiana dovrebbe essere per tutti un appello a questo dato essenziale: «Che ce ne facciamo del fatto che abbiamo una vita sola? Dove è la fonte che ci fa vivere?».

Nel suo testo indica due campi di azione per i cristiani in Europa: il pluralismo religioso e la questione ecologica.

Rispetto al primo, la Chiesa deve maturare una sempre più viva coerenza tra Vangelo e forma dell’annuncio. Non possiamo annunciare il Vangelo della pace con la violenza della seduzione. Non rispettare l’altro sarebbe un gesto incoerente con il Vangelo che professiamo. Al contempo, nel contesto di laicità che viviamo, dobbiamo riconoscere che la fraternità non può essere garantita automaticamente. Qui i cristiani hanno un grande ruolo da giocare. Sul fronte ecologico: con l’avvento dell’Antropocene l’uomo ha scoperto che il grido della terra e il grido dei poveri si coniugano in un’unica brutalità che l’umanità ha inflitto al creato. Le questioni sociali che si stanno dibattendo a livello continentale, tutto ci parla di un acuirsi della sensibilità morale nel nostro tempo.