Agorà

Calcio. I cinque gesti più belli del Mondiale

Antonio Giuliano sabato 10 dicembre 2022

Il fuoriclasse brasiliano Neymar consolato a fine partita dal figlio del calciatore croato Perisic

SIgnori si nasce, diceva il grande Totò. Non è detto però che non si possa diventarlo. Soprattutto quando non mancano gli esempi positivi. Ne stiamo vedendo anche nel surreale Mondiale in Qatar per quanto più si entri nel vivo e più c’è il rischio che saltino i nervi. Si è andati anche oltre nel quarto di finale tra Olanda e Argentina con risse e brutti gesti plateali su cui anche la Fifa ha aperto un’indagine. Le provocazioni alla vigilia del ct olandese Van Gaal hanno scaldato gli animi producendo le reazioni di esultanza irridente degli argentini e nel parapiglia generale ha perso le staffe anche Messi. Il rovescio della medaglia di una rassegna che però ha messo in mostra finora anche ben altri gesti. Non cadremo però nella tentazione opposta, di stilare cioè un elenco “buonista” dal divano di casa, perché chiunque abbia fatto dell’agonismo sa che la competizione può far uscire il meglio o il peggio di noi stessi. Ci concentreremo allora su quelle immagini che ci sono sembrate più “virtuose” nella convinzione che lo sport può diventare un formidabile strumento educativo.

Al primo posto di questa parziale e personale classifica c’è senz’altro l’esultanza in preghiera dei giocatori dell’Ecuador al primo gol ufficiale di questo torneo iridato. La rete su rigore dei sudamericani contro i padroni di casa del Qatar nella partita inaugurale ha un alto valore simbolico. Anche perché nel Mondiale delle proteste, tra le tante discriminazioni denunciate, non si è sentita nessuna voce di rilievo in merito a una delle libertà fondamentali dell’uomo, la libertà religiosa, che nel Paese arabo è inesistente.

Altrettanto significativo il coraggio dimostrato dalla Nazionale iraniana. Non solo per l’inno “non cantato” ma anche per quello stringersi in cerchio al termine della prima partita con le braccia alzate. Un abbraccio ideale per i tanti fratelli che in patria stanno protestando contro le angherie e le torture del regime della Repubblica islamica. Un rischio enorme a riprova che il calcio non è solo un gioco.

Quando però le partite finiscono (per fortuna) solo sul rettangolo verde, tanto di cappello a quel che hanno fatto vedere i giapponesi. Dopo la storica vittoria con la Germania, sia i tifosi che i giocatori nipponici avevano già stupito tutti: i primi raccogliendo i rifiuti nello stadio e i secondi lustrando lo spogliatoio e lasciando un biglietto in ideogrammi che diceva: «Molte grazie». Poi ci ha pensato il ct Hajime Moriyasu a regalarci una delle più belle cartoline di questo Mondiale. Dopo la sconfitta ai rigori con la Croazia agli ottavi, l’allenatore del Giappone si è inchinato per circa sei secondi davanti ai tifosi. Ha fatto il giro del mondo la foto di lui con la schiena piegata a 45 gradi come nel “saikeirei”, l’inchino più ossequioso, riservato ad occasioni speciali per ringraziare oppure per scusarsi con qualcuno. Un gesto da applausi come l’exploit della sua Nazionale che ha fatto ritornare bambini molti spettatori: è ancora viva l’epopea di “Holly e Benji”, il fortunato cartone animato giapponese che fatto felici almeno un paio di generazioni.

Che dire poi dei giocatori croati, capitanati da Luka Modric, che hanno consolato i brasiliani sconfitti a fine gara. A testimonianza che la sportività non ha età, si è distinto anche il figlio di Perisic, Leo, 10 anni, che si è avvicinato a Neymar, a centrocampo, per stringergli la mano. E il fuoriclasse brasiliano, in lacrime, lo ha abbracciato.

Infine non si può menzionare il marocchino Hakimi che dopo ogni vittoria corre a baciare e abbracciare sua madre in tribuna perché non dimentica i sacrifici che ha fatto per lui. Un gesto fatto anche dal croato Gvardiol esaltato pure dal suo ct Dalic: «Non puoi essere semplicemente un buon giocatore senza provare questi sentimenti. Mi congratulo con sua madre per aver cresciuto un figlio del genere. Un giocatore e figlio così, modesto, a tali livelli è frutto di grande educazione e tanta fede».