Agorà

INTERVISTA. «I capolavori di Liszt? Sono merito della fede»

Alessandro Beltrami sabato 2 luglio 2011
Difficile trovare un autore come Franz Liszt capace di dividere il pubblico e critica. Lisztomaniaci e Lisztofobiaci. Ieri come oggi, a 200 anni dalla nascita del pianista e compositore ungherese, avvenuta il 22 ottobre 1811. Funambolo della tastiera ma compositore confuso o geniale anticipatore del Novecento? «Ridotto in questi termini non capiremo mai davvero Liszt». A dirlo è il pianista napoletano Michele Campanella (1947), che alla musica lisztiana ha dedicato la carriera. E che per questo bicentenario ha riversato la lunga esperienza di interprete nel volume Il mio Liszt (Bompiani, 272 pagine, euro 11). «Se non si considera il percorso nella sua lunghezza e nella sua tortuosità, il senso generale sfugge: un senso che va cercato nella conquista della fede». Perché il musicista, osannato come una rockstar, fama (meritata) di gran viveur, ritiratosi dai concerti a 36 anni per dedicarsi alla composizione, nel 1865 scioccò il mondo prendendo i voti minori e diventando l’abbé Liszt. «Nella sua musica si assiste a un percorso parallelo: da brani spettacolari ma un po’ epidermici si giunge a pezzi sempre più ascetici». Ferruccio Busoni parlò di una «metamorfosi da demonio ad angelo».Quale fu la percezione nei contemporanei della svolta religiosa?Ne fu messa in dubbio, e così è ancora oggi, la genuinità. Le cronache mondane la considerarono come un colpo di teatro, una maschera. Per lo stesso Liszt in effetti la tonaca era quasi un oggetto di vanto. Io però parto dalla musica e non dalla biografia. Difficile pensare che la quantità impressionante della sua musica religiosa sia stata solo una presa di posizione volontaria. E infatti, alla prova dello studio, è musica che "funziona" proprio dal punto di vista del contenuto.Il legame tra musica e spiritualità in quegli anni non era insolito…Ma la distanza con gli altri è enorme. Anche nei migliori, penso ad esempio a Wagner o Frank, è una religiosità venata di sentimentale. Liszt è un’altra faccenda. La Via Crucis per coro e pianoforte manifesta un autentico desiderio di redenzione innanzitutto come uomo e quindi come musicista. Isole di candore e purezza emergono nella sua musica con sempre maggiore frequenza fino a quando Liszt riesce un certo punto a liberarsi dal sentimentalismo romantico per giungere a una forma e a una scrittura decisamente spirituali, in cui il virtuosismo viene sempre meno. E non importa che il titolo sia Sancta Dorothea o I cipressi di Villa d’Este: quello che conta è l’essenza.Oggi com’è accolta la sua musica religiosa, specie quella vocale e orchestrale?Sono perplesso. Tra i grandi direttori non registro interesse a dedicare tempo e passione a questi brani. La musica religiosa di Liszt ha un linguaggio estremamente personale e arduo. E forse quello che disturba in lui è anche la sua fiducia, la sua fede, la sua positività. La sua è un’utopia della musica che necessita di un manipolo di disperati che la affrontino quasi come una missione. Un manipolo che però potrebbe non arrivare mai. Un ideale percorso tra queste pagine?Invito ad ascoltare la coda della Faust-Symphonie e il Magnificat che chiude la Dante-Symphonie, dove i fatti musicali vengono trasfigurati in fatti spirituali. Più che gli oratori come il Christus, forse troppo vasti, ascolterei invece le Messe. Per quanto riguarda il pianoforte certamente le due Leggende francescane e il terzo ciclo delle Années de Pèlerinage. Celata al cuore di Giochi d’acqua a Villa d’Este c’è una citazione di san Giovanni: un pezzo che per molti è un gioco pianistico è invece un percorso inziatico. E i molti brani dell’ultima produzione che si collocano sulla soglia del silenzio. Il vero Liszt è quello della contemplazione mistica e serena. Se si ammette la sincerità della svolta, allora è quello il suo più autentico ritratto.Cosa l’ha convinta a dedicare tutta la vita a Liszt?Riconosco in me, fatte le debite proporzioni, un temperamento affine e lo stesso desiderio spirituale. È una cosa che ho capito col tempo. Incontrai Liszt la prima volta a 14 anni. All’epoca mi colpì la sua carica vitale esplosiva. Si sa, i sogni di un adolescente sono di gloria. Allora ho visto nella sua musica gli eroi. Ora vi riconosco i santi.