Agorà

Dany Laferrière. Haiti, viaggio nel Paese dei morti

Daniela Pizzagalli giovedì 18 giugno 2015
Due settimane fa a Parigi lo scrittore haitiano Dany Laferrière ha ricevuto la spada da “immortale”, entrando ufficialmente a far parte dell’Académie Française, seconda persona di colore dopo il poeta africano Sedar Senghor: i media francesi però hanno affiancato il suo nome soprattutto a un altro accademico, Alexandre Dumas figlio, il cui padre mulatto era figlio di una donna haitiana. Ha fatto davvero una lunga strada Laferrière, dalla sua nascita a Port-au-Prince nel 1953, all’infanzia con la nonna in un villaggio per sfuggire alle rappresaglie del dittatore François Duvalier che aveva già costretto all’esilio suo padre sindaco di Port-au-Prince, poi gli studi e l’inizio di una carriera di giornalista finché nel 1976, dopo l’assassinio di un collega da parte dei famigerati Tontons Macoute, si rifugiò a Montréal, dove ancora risiede, ormai naturalizzato canadese.  La sua carriera di scrittore è quarantennale, con una ventina di libri all’attivo e un ragguardevole palmarès, ma in Italia è sfuggito finora all’attenzione del grande pubblico, benché sia stato pubblicato il romanzo autobiografico L’enigma del ritorno (Gremese), insignito nel 2009 del Prix Médicis. Ora la lacuna viene colmata, in concomitanza con il suo arrivo in Italia per partecipare al festival romano “Letterature”, dove parlerà stasera alle 21 in piazza del Campidoglio, e a “Salerno Letteratura” il 23 giugno e soprattutto con la pubblicazione in contemporanea di Paese senza cappello del 1996 (Nottetempo, pagine 290, euro 16,00) e di Tutto si muove intorno a me (66thand2nd, pagine 138, euro 15,00) del 2011.Il "paese senza cappello" è l’aldilà, il paese dei morti che nella mitologia haitiana è popolato da figure come il famigerato Baron Samedi, la temibile Erzulie Freda Dahomey, il potente Ogou Ferraille. Nel libro lo scrittore, rientrato in patria dopo vent’anni d’esilio, si reca ad incontrarli per farsi spiegare il fenomeno degli zombi. Che cosa rappresenta il vudù per Haiti?«È il fondamento identitario del paese, e non ha niente a che vedere con quello che mostrano i film americani. È un insieme di saperi: la farmacopea tradizionale, i proverbi e i riti che risalgono al tempo degli schiavi, la musica, la pittura coloratissima. È una sorta di religione sotterranea, che non è per niente in conflitto con la fede cattolica ufficiale. Gli haitiani hanno un forte senso del sacro. Quando sono lì io m’immergo senza alcun disagio in quell’atmosfera. Anzi, pensando a mia nonna mi viene spontaneo mettermi a pregare. Tutte le donne della mia famiglia sono cattoliche praticanti, ma non rinnegano la fede tradizionale, per loro sono come due piedi che vanno al passo insieme». Le donne della sua famiglia, la nonna, la mamma, le zie, compaiono in entrambi i libri, depositarie della memoria e degli affetti, e legate alla casa anche dopo la morte, come nel rituale di versare da ogni tazza di caffè qualche goccia per la nonna defunta.«Io sono sempre stato attorniato solo da donne, che mi hanno generato e nutrito proteggendomi dalle minacce del dittatore. Mia nonna si ritrova, magari in un solo paragrafo, in quasi tutti i miei libri. Aveva sempre in mano una tazza di caffè delle Palme, la sua regione, che è il migliore del mondo. Mia madre sempre ansiosa e afflitta da tanti disturbi: di testa, di pancia, di denti. Una volta le ho detto di prendere un antidolorifico e mi ha risposto che i piccoli dolori le facevano dimenticare quelli più grandi. Le mie quattro zie adoravano vestirmi come se fossi una bambola. Devo a tutte loro, che mi hanno donato un’infanzia felice in tempi tenebrosi, il senso dell’equilibrio che riesco a mantenere nei momenti difficili»."Tutto si muove intorno a me" è una sorta di cronaca in presa diretta del devastante terremoto di Haiti del 12 gennaio 2010, di cui è stato testimone oculare, rimanendo fortunatamente indenne. Nel libro alterna descrizioni e incontri, realtà e metafora, in una sorta di mosaico che dalla scena di orrore generale trae dettagli d’intensa umanità.«Faccio sempre così nei miei libri. Per me scrivere è come gettare in una pentola pezzi di carne, di verdura, olio sale e spezie varie, sperando che il sapore alla fine risulterà diverso da quello dei singoli ingredienti. Non amo romanzi di puro racconto. Mescolo descrizioni e aneddoti, serietà e umorismo, fatti concreti e astrazioni. Intanto sorveglio il fuoco sotto la pentola e di tanto in tanto assaggio per controllare se il risultato corrisponde a ciò che avevo in mente incominciando il libro».Il ruolo preponderante di Haiti nella sua opera ha rischiato di confinarla in una nicchia da autore locale?«Proprio per evitare di essere circoscritto nell’ambito haitiano ho scritto un libro intitolato Io sono uno scrittore giapponese. Volevo far capire che parlo di cose che riguardano tutti, della condizione umana. La credibilità di uno scrittore consiste nel rendere universali situazioni che potrebbero sembrare legate a un determinato ambiente».È difficile il percorso della ricostruzione dopo il terremoto?«Infinitamente difficile, ma il popolo di Haiti è coraggioso, sta elaborando il lutto in modo molto intimo, tanto sommesso che non fa notizia, e il mondo intorno non se ne accorge».