Agorà

Il dopo sisma. Haiti, laboratorio di civiltà per un popolo ferito

René Depestre domenica 15 agosto 2010
Il 12 gennaio la notizia del sisma mi gettò nella disperazione: Haiti non è per nulla attrezzata per resistere a un devastante ciclone, a un vulcano o a un terremoto di magnitudo 7,3 su scala Richter. La violenza tellurica della geografia si è aggiunta al terrore familiare alla sua vicenda storica. Dalla colonizzazione fino a questi giorni del XXI secolo, Haiti ha conosciuto solo tribolazioni sia collettive sia individuali. Tuttavia un’intuizione profonda mi dice che l’attuale terrore d’origine sismica sarà l’ultimo della nostra tragedia infinita. Da ogni parte sorge una speranza mai vista. In gran parte del Paese l’opinione pubblica alimenta le prime manifestazioni di una civiltà democratica mondiale. Mentre l’impresa umana ammette i propri limiti (dovuti all’influenza ancora decisiva dei grandi Stati nazionali), una società civile internazionale, con gli aiuti che fa affluire sulle coste desolate di Haiti, avanza il diritto di assumere il testimone dell’umanitarismo del secolo scorso. La solidarietà che sul pianeta si manifesta sotto ogni cielo rivela addirittura una sorta di tenerezza del mondo al fianco dei sinistrati di Haiti. Con chiarezza s’intravede una verità finora mai affermata in modo così forte: non c’è nessuna maledizione su Port-au-Prince, Jacmel, Leogane, Petit-Goâve e le altre località devastate. Siamo ad Haiti, davanti a una storia sui generis della civiltà umana. Perché non potrebbe trattarsi di un evento storico, ontologico, politico? L’occasione unica per un piccolo Stato nato dalle iniquità dello schiavismo e che recalcitrò di fronte al modello nazionale che l’Europa post-napoleonica del Congresso di Vienna (1815) gli pose davanti, di un "ordine mondiale" da prendere o lasciare… Allora Haiti preferì l’attendismo esistenziale, nella tragedia permanente, alla lunga marcia necessaria a fondare uno Stato nazionale? Nel 1815 a Vienna nessuna monarchia "bianca" voleva sentire parlare di rivoluzione haitiana, di negritudine levatasi in piedi e tanto meno di prima repubblica nera dell’era moderna. Un cordone sanitario "razziale" circondò quei concetti di un diritto ritenuto irricevibile. Così l’ideologia fondata sull’epidermide, invenzione carnevalesca dell’immaginario coloniale, acquistò un peso esagerato, patologico, nella strategia politica dei primi dirigenti di Haiti. Cadendo ciecamente nella trappola mitica della "razza", essi trascurarono i concetti fondamentali di diritto, nazione, civismo, sovranità popolare e autonomia dell’individuo-cittadino (tutta l’eredità del 1789 e dei Lumi) per dedicare le proprie energie «alla difesa e al riscatto della razza nera». Quella «negritudine del diritto» non poteva diventare motore di sviluppo e di democrazia. In tale ottica di redenzione, invece che di formazione a tappe forzate di una società civile haitiana, il presidente di Haiti Boyer, nel 1825, accettò la proposta di Carlo X di indennizzare gli ex coloni e proprietari di schiavi. Da allora, per «saldare il debito dell’indipendenza», Haiti cadde sotto il protettorato, la dipendenza, la tutela delle piazze finanziarie e borsistiche dell’Occidente cristiano. Il sisma devastante del 12 gennaio è venuto brutalmente a ricordare alla debole società civile haitiana ancora in piedi che a questo punto ha bisogno, immediatamente, di adottare una visione integrata per farsi carico di tutta la tenerezza del mondo riunita al suo fianco. Gli haitiani non devono aspettare a braccia conserte che le Ong, le Nazioni Unite, il G20 e il Fondo Mondiale Internazionale pensino e agiscano al posto loro. Nella scelta che s’impone di un nuovo statuto costituzionale e giuridico, andranno esaminati i seguenti scenari per uscire dalla crisi e dalla catastrofe. Potendo contare su una specie di «coalizione dell’umanità» a fianco delle sue sventure, Haiti potrà passare in rassegna diverse opzioni: 1) Una federazione con la Repubblica Dominicana si rivela impossibile, poiché il contenzioso tra i due vicini sull’isola resta difficile da sanare. 2) Allo stesso modo è utopistica una federazione con le ex colonie anglofone dei Caraibi (Giamaica, Barbados, Trinidad e Tobago). 3) Parimenti impossibile è l’integrazione con il Dom-Tom delle Antille di lingua francese (Martinica, Guadalupa, Guyana Francese). 4) Un ennesimo Stato americano sul modello del Porto Rico? Oltre all’ostilità dei due partiti americani, c’è il fatto che Haiti, contro tutto e tutti, resta attaccata all’Indipendenza nazionale del 1° gennaio 1804. Oggi Haiti può diventare l’oggetto di un’esperienza pilota, di un laboratorio che il nuovo corso della Casa Bianca può permettere al presidente Barack Obama di alimentare in civismo internazionale, come avviene con le Ong e le società civili del pianeta.