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IL CINEMA DEI PICCOLI. Gruppo Alcuni, la Disney italiana che sfida gli Usa

Arianna Prevedello domenica 17 gennaio 2010
Il 2010 sarà l’anno del primo film d’animazione italiano con personaggi tridimensionali. Dal 22 gennaio esce in 200 copie il cartoon di coproduzione italo-spagnola, Cuccioli - Il codice di Marco Polo, targato Alcuni, realtà d’eccellenza nell’ambito dell’audiovisivo per ragazzi. L’approdo cinematografico della serie televisiva dei Cuccioli, apprezzata dai ragazzi italiani e già in onda in 50 Paesi del mondo, ha richiesto tre anni di lavoro e la collaborazione di 450 professionisti. La storia, ambientata a Venezia, è stata scritta e realizzata a misura di bambino e raccoglie il meglio delle intuizioni creative e pedagogiche della carriera multimediale degli Alcuni.Sergio Manfio, presidente e responsabile creativo del Gruppo Alcuni, è regista, sceneggiatore e coautore delle musiche del cartoon.Oltre ad essere dei simpatici animaletti i Cuccioli raccontano la realtà…«I sei personaggi rappresentano le tipologie in cui i bambini si riconoscono, quello che si definisce "la morale per tipi". Abbiamo la bambina che assomiglia a Diva, che la pubblicità sollecita a comportarsi in modo esigente nei confronti della moda, a vestirsi sempre elegantemente. C’è il concetto dello spirito del bambino creatore che è Senzanome, l’inventiva fuori dal tempo. Cilindro, il ragazzo imbranato che vorrebbe mettersi in mostra ma poi è sempre frustrato dalle situazioni che lo coinvolgono. Portatile, che è quello di cultura a cui piace leggere. Olly è la bambina che si butta, il capo che decide di fare le cose. Il piccolo spettatore si riconosce in alcuni aspetti di ciascuno e avrà il suo personaggio preferito. Quasi sempre Senzanome».Quali sono i principi che ispirano le produzioni della factory Alcuni?«Il primo è senz’altro la creatività, contro la routine, per dare stimoli alla fantasia dei bambini, come nella serie tv Eppur si muove. Il secondo è la logica cooperativa, lo spirito di sorreggersi, contrapposta all’individualismo. È difficile lavorarci, perché è un messaggio che non passa facilmente nemmeno a scuola, dove si sviluppa la logica della meritocrazia. Terzo, l’osservazione. Perché nulla ti prenda alla sprovvista. L’ultimo aspetto, forse il più complicato, è quello di produrre risultati concreti a seguito delle indicazioni pedagogiche».E la violenza? «Non c’è mai! È una cifra della nostra produzione. Lo scontro tra gli antagonisti non è mai la lotta, che riempie invece il mondo dei cartoni animati. Se c’è un contrasto, viene risolto attraverso la creatività, che nel film traspare attraverso l’uso di alcuni oggetti d’invenzione». Dal vostro osservatorio privilegiato (laboratori e teatro) avete notato cambiamenti del pianeta bambino?«Il cambiamento dei ragazzi è di natura solo "epidermica". Hanno delle informazioni nuove che ora sono elementi naturali per costruire una storia, ma il modo con cui i bambini s’interessano non è cambiato. La tecnologia ha spostato la soglia dello stupore. Contemporaneamente lo puoi affabulare e affezionare al racconto con qualcosa di semplice. Le domande di coinvolgimento che facciamo nel film presuppongono che il bambino abbia una sua moralità, che quindi tifi per il buono e sia avverso al cattivo». Per essere un’azienda leader, con vari settori di sviluppo, ci vuole anche creatività  manageriale…«La gestione di 70 persone prevede una managerialità abbastanza spinta, che non sempre si sposa bene con l’essere dei creativi e che deve rispettare anche dei criteri etici. All’interno del film ci sono dei product placement pubblicitari che potrebbero far storcere il naso. In realtà ci abbiamo pensato bene prima di inserirli. Usare questi mezzi permessi, cercando ovviamente che non siano troppo invadenti, ci consente però di fare meglio il nostro lavoro».