Agorà

Teatri del Sacro. Grazie a Dio si può ridere

Alessandro Zaccuri lunedì 15 giugno 2015
Quando sono arrivate le prime risate Andrea Cosentino si è sentito sollevato. In scena da solo, surrealmente infilato nella divisa da dama di carità, è l’interprete di Lourdes, lo spettacolo che insieme con il regista Luca Ricci ha tratto dal romanzo di Rosa Matteucci, arrivata pure lei a Lucca per il debutto. L’esito dell’impresa non era scontato, dato che la vicenda procede in continua alternanza fra illuminazione mistica e constatazione del grottesco. Ma il pubblico dei “Teatri del Sacro” ha dimostrato di apprezzare, anche ridendo ogni volta che se ne presentava l’occasione. «Magari è gente tornata ieri da un pellegrinaggio», osserva Cosentino che, in ogni caso, si è trovato in buona compagnia nella rassegna organizzata dalla Federgat e da alcuni uffici della Conferenza episcopale italiana (Comunicazioni sociali, Progetto culturale, Fondazione comunicazione e cultura) in collaborazione con l’Acec, l’Associazione cattolica esercenti cinema. «Il nostro obiettivo – spiega il direttore artistico Fabrizio Fiaschini – è esattamente questo: lasciarci interrogare dal sacro in ogni sua manifestazione, facendo ricorso a tutti i linguaggi in cui il teatro si esprime».Spazio alla danza e al teatro di figura, dunque (Free Spirit presentato dalla coreografa Ariella Vidach, il Vangelo per marionette di Chi Sei Tu? di Antonio Panzuto e Alessandro Tognon), alla contaminazione con le arti figurative (suggestivo il progetto Genesis /Imago nel quale la compagnia Teatri 35 ha coinvolto la pittrice Caroline Peyron) e alla complessa invenzione corale del Ramayana di Roberto Rustioni. La ricorrenza più vistosa, in questa quarta edizione della rassegna che giunge oggi a conclusione, è però quella della comicità, in una gamma che va dall’ironia al demenziale. È il caso, quest’ultimo, di Delirium Betlem, rivisitazione postmoderna dei Re Magi per la quale il regista e drammaturgo Alberto Salvi può contare su uno straordinario terzetto di attori (Francesco Ferrieri, Riccardo Goretti, Walter Leonardi). Un un discorso analogo vale per il clownesco Caino Royale di Rita Pelusio, oltre che per l’ipercinetico Io, mia moglie e il miracolo di Gianni Vastarella.Si sorride più dolcemente nel bellissimo monologo Per obbedienza, nel quale Fabrizio Pugliese dà voce e corpo a Giuseppe da Copertino, il santo «illetterato et idiota» amato già da Carmelo Bene: un povero ragazzo del Seicento, incapace di comprendere il mondo eppure capace di “incantarsi” davanti a un affresco. Fa ridere, il fraticello ignorante, ma non appena Pugliese si solleva dallo sgabello su cui è seduto, ecco che Giuseppe torna davvero a volare, come faceva un tempo sotto lo sguardo di fedeli entusiasti e di inquisitori preoccupati. «Il volo – dice l’attore – è il modo in cui Giuseppe si lascia attraversare dalla bellezza: così, direttamente, senza chiedere spiegazione, prendendo atto della propria inadeguatezza e insieme distaccandosene, risalendo verso l’alto».Non è un decollo isolato. Nel finale di La Volontà, lo spettacolo che César Brie ha realizzato ispirandosi alla figura e all’opera di Simone Weil, la protagonista Catia Caramia viene fatta ascendere grazie a una carrucola che poco prima è servita allo stesso Brie per riprodurre il volo rapace del guerriero Achille e l’immobilità forzata del poeta Joë Bousquet. «Anche il tema della semplicità, della riduzione all’essenziale è molto sentito», aggiunge Fiaschini, citando senza volontà di cattura, francesco di Roberto Corradino, dove tutto è minuscolo, perfino il nome del Poverello: un altro santo che dall’altare si sposta sulla scena. «Pensare che all’inizio avevamo ipotizzato un festival teatrale sui santi patroni, ma ci sembrava riduttivo», commenta il segretario generale dell’Acec, Francesco Giraldo. L’avventura dei “Teatri del Sacro” ha preso forma all’inizio degli anni Duemila, nell’ambito della riorganizzazione della Federgat, la Federazione gruppi attività teatrali. «La prospettiva era sempre quella delle sale della comunità – spiega Giraldo – che avevano già compiuto un percorso interessante nel rapporto con il cinema, ma ancora non riuscivano a sfruttare le potenzialità culturali, educative e di evangelizzazione tipiche del teatro». Strutturatosi a partire dal 2009 come rassegna a cadenza biennale, i “Teatri del Sacro” si caratterizzano oggi come una delle pochissime realtà italiane in grado di selezionare progetti originali, portarli al debutto e favorirne la circolazione. Le opere messe in scena durante le settimane lucchesi sono finora un centinaio, poco meno di cinquecento le repliche complessive sul territorio. Sono compagnie di professionisti, di solito prive di appartenenza confessionale. «Molti artisti partono da posizioni agnostiche – ammette Giraldo – ma poi ci stupiscono per profondità di riflessione». E le compagnie amatoriali? In questa edizione ne sono state coinvolte quattro, tra cui il laboratorio “f. pl., femminile plurale”, curato da Marina Rippa e da Alessandra Asuni con le donne di Forcella. Il loro Pe’ Devozione ha dentro la vita e la morte, invoca le anime del Purgatorio e trasporta nelle strade di Napoli. Si urla e si piange, si litiga e si mormora. Spesso, grazie a Dio, si ride.