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Tendenze. Giardini, il ritorno del «selvaggio»

Leonardo Servadio martedì 16 settembre 2014
La pace dello spirito è sempre stata identificata con la vita nei campi. Perché la naturale inclinazione porta l’essere umano a godere il verde dei prati, il fruscio delle fronde, i colori dei  fiori: non a caso è proprio «col sorgere delle città industriali, tra Sette e Ottocento, che si progettano anche i primi giardini pubblici – spiega l’architetto paesaggista Maria Pia Cunico – per volontà di governanti illuminati». Se oggi la città si estende ovunque, è logica conseguenza che vi sorgano giardini tali da permettere il recupero della natura come contraltare al dilagare del costruito.Dunque non c’erano parchi pubblici prima dell’era industriale?«Hyde Park a Londra era della corona britannica, come a Parigi il Bois de Boulogne era del re francese. Nacquero entrambi a metà del XVI secolo, ma quando con l’industrializzazione si diffusero l’inquinamento, il fumo, lo smog, divennero pubblici: si comprese che le masse di persone trasferitesi dalla campagne, nelle città avevano bisogno di luoghi che le riconducessero alla natura perduta. Il parco pubblico si trasformò in un pezzo di campagna nel centro urbano. Nel XIX secolo i parchi erano progettati per apparire il più possibile naturali: con rocce, alberi, collinette. A chi entrava nel Central Park di New York alla fine dell’800 sembrava di uscire dalla città per dimenticare le strade affollate, per immergersi letteralmente nella natura. I parchi avevano anche una funzione igienica: era permesso fare il bagno nei laghetti. In città pochi avevano la possibilità di lavarsi».Il parco "confinato" entro il tessuto urbano appartiene ai centri storici, non alle periferie...«In effetti nel ’900 il rapporto parco-città si modifica: le aree verdi si integrano nel tessuto urbano. La Villette a Parigi ne è un esempio: parco periferico nella zona sud della città, progettato a fine anni ’80 da Bernard Tschumi. Include un museo della scienza, una scuola di musica, un auditorium, una zona dedicata a eventi fieristici, un’area giochi tematica per bambini... insomma una serie di servizi che ne fanno un brano di città, integrato nella vita di tutti i giorni. In questa direzione sono cambiati anche i parchi storici. Per esempio il Central Park è stato dotato di un’area per concerti e di altri servizi culturali. Se nell’800 i parchi avevano una funzione ricreativa e si presentavano come ambienti estranei a quello urbano, nel ’900 acquisiscono una funzione di complemento per le attività che si svolgono in città. Ma ora a tutto questo si aggiunge una nuova tendenza».E questa in che cosa consiste?«Si fa strada la ricerca del ritorno alla natura autentica, selvaggia. È anche una conseguenza della consapevolezza ecologica ormai diffusasi. In molti parchi si trovano aree dedicate alla natura non più addomesticata, ma lasciata a sé stessa: prati non falciati, in cui cresce ogni tipo di erba e in primavera si riempiono di fiori, alberi non potati... Vi tornano specie animali che sul prato all’inglese non metterebbero zampa, si diffondono insetti che altrove sarebbero soppressi e questo consente agli studenti di osservare la natura così come essa è, senza intervento umano. Il teorico di questa strategia è Gilles Clément, che la definisce "terzo paesaggio"».La natura lasciata a sé stessa prevale su tutto: vedi il caso delle città azteche soggiogate dalle piante...«Vi sono tanti modi per pensare il giardino. Lo stesso Clément ha progettato diversi parchi, quali quello che prende il nome di André Citroën, dove sorgevano gli stabilimenti storici dell’azienda automobilistica a Parigi, o il parco Matisse a Lille. Sono compiutamente progettati, ma hanno alcune zone "abbandonate". A Parigi c’è una zona fitta di alberi, a Lille c’è un vasto terrapieno sopra il quale non si compie alcun intervento. In queste aree si trova una natura più rigogliosa e più soggetta alle mutazioni stagionali e alle specifiche vicende meteorologiche: se d’estate piove poco, non essendoci irrigazione le piante ne risentono in modo particolare».Anche in Italia vi sono esempi simili?«Nel parco di Levico Terme di cui mi occupo cerco di introdurre un poco questi concetti, ne parlo con le persone, spiego come si possa compiere una lotta biologica senza usare diserbanti. Ma siamo agli inizi, si richiede molto impegno».La natura ha anche un effetto terapeutico...«Recentemente a Bergamo si è svolto un convegno sui "giardini di cura". Se ne trova uno collegato a un centro di riabilitazione sul Lido di Venezia. Ci sono aiuole sopraelevate per permettere a chi è in sedia a rotelle di osservarle da vicino. Anche a Treviso nell’ospedale oncologico pediatrico si trova uno di questi giardini terapeutici: certo la natura aiuta la salute. È di grande utilità anche per i carcerati: nel carcere femminile della Giudecca a Venezia si coltivano ortaggi che le detenute vendono al mercato. L’isola-prigione della Gorgona è diventata un grande centro agricolo che rifornisce alcuni supermercati. Nessuno ha mai tentato di scappare da lì. L’agricoltura dà equilibrio serenità. Non a caso si moltiplicano ovunque gli orti che le amministrazioni comunali affidano ai cittadini».