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Intervista. Roze: Geremia, profeta contro il gender

Luciano Moia sabato 25 aprile 2015
Il primo a mettere in guardia dal pericolo gender fu il profeta Geremia. Incredibile? Non troppo, se si è in grado di leggere con attenzione. Proviamoci. Capitolo 7 del libro di Geremia, versetto 34: «Io farò cessare nelle città di Giuda e nelle vie di Gerusalemme le grida di gioia e la voce dell’allegria, la voce dello sposo e della sposa, poiché il paese sarà ridotto a un deserto». E poi capitolo 18 dell’Apocalisse, versetti 21-23: «…e la voce di sposo e di sposa non si udrà più in te». Duemila anni dopo, ecco la Lettera alle famiglie (1994) di Giovanni Paolo II, n.19: «Il Grande mistero, il sacramento dell’amore e della vita, ha smarrito nella mentalità moderna le sue più profonde radici. Esso è minacciato in noi ed intorno a noi».Don Etienne Roze, origini francesi, dottorato in scienze del matrimonio e della famiglia, parroco della diocesi di Albano Laziale, non ha dubbi: «C’è un filo sottile che lega le profezie di Geremia, dell’Apocalisse e di tanti altri passaggi della Bibbia all’analisi di papa Wojtyla. E questo filo si chiama gender. Se si azzera la famiglia, se si annulla la differenza sessuale, se maschile e femminile diventano solo opinioni, la nostra civiltà rischia di trasformarsi in un puzzle impazzito. Il gender va contrastato con proposte positive, o in caso contrario, tra un secolo al massimo l’umanità potrebbe rischiare l’implosione». Don Roze ha messo in fila queste convinzioni in un saggio ponderoso: Verità e splendore della differenza sessuale (Cantagalli, pp.460, euro 22). Lo stesso tema che ha affrontato nella tesi per il suo dottorato di teologia all’Istituto Giovanni Paolo II presso l’Università Lateranense.Ma a chi interessa promuovere la teoria del gender?«Interessa a chi ha il potere, quello politico e quello economico, perché è un modo per dominare le coscienze. Quando si afferma un pensiero unico, per le classi dominanti tutto diventa più facile. È storicamente dimostrato. Così si promuove un messaggio che sembra nuovo, attraente, che fa tendenza. Ma che in realtà è distruttivo».Come nasce l’ideologia del genere?«A livello filosofico con il nichilismo. La natura è un non sense. Sono gli uomini che le danno un senso e possono plasmarla a loro piacimento. Anche la differenza sessuale è una componente della natura che ricade completamente sotto l’arbitrio dell’uomo. Poi c’è il livello storico. Con la saldatura tra rivendicazioni femministe e lobby gay. Oggi le teorie del gender, almeno in alcuni ambienti, assolvono le stesse funzioni che il marxismo ha svolto per decenni. Offrono cioè l’illusione di combattere le diseguaglianze, individuando un antagonismo contro cui combattere. La lotta all’omofobia ha sostituito la lotta di classe. Peccato che la differenza sessuale non rappresenti una diseguaglianza, ma una verità ontologica. E per noi cristiani una verità di fede».Esiste una teologia della differenza sessuale?«Certo, quando nella Genesi si legge, “maschio e femmina li creò”, vuol dire che nella differenza sessuale si può cogliere il disegno di Dio creatore. Guardando al modello uomo-donna del matrimonio, san Paolo lo definisce “Il grande Mistero”, perché rimanda all’innamoramento di Dio per l’umanità. A chi può interessare contrastare questo disegno di Dio? Direi al “Grande Invidioso”, all’Avversario di sempre. Per fortuna Dio tiene saldamente la storia nelle sue mani. E alla fine lo splendore della differenza sessuale tornerà ad affermarsi».Noi però qualche aiutino possiamo darlo, no?«Certo, per esempio, incoraggiando la nascita di quella pastorale della differenza sessuale di cui oggi c’è un grande bisogno. Vent’anni fa bastava occuparsi di educazione all’affettività e alla sessualità. Oggi non è più sufficiente. Dobbiamo fare un passo indietro. Spiegare i valori irrinunciabili, i baluardi dell’antropologia del corpo. E dobbiamo farlo rivolgendoci alle categorie più a rischio, bambini e adolescenti, che a scuola vengono bombardati con una serie continua di messaggi destabilizzanti. C’è tanto da fare, soprattutto per diffondere nella Chiesa l’urgenza di questa battaglia».Ma soltanto la Chiesa dovrebbe essere interessata a combattere le teorie del gender?«Direi proprio di no. Se pensiamo che il gender è affermazione di un pensiero unico, dittatoriale, ci sono intere categorie professionali, quelle per esempio impegnate ad approfondire i misteri e le patologie della psiche, che dovrebbero guardare ad gender come a pericolo incombente. Pensiamo agli psicanalisti, agli psicoterapeuti. La dittatura del pensiero unico finirà per impedire la libera ricerca psicanalitica. O ci si mette al passo con la “gendercrazia” o si rimane esclusi. E questo capita già oggi. Quanti sono gli specialisti che hanno il coraggio di affermare che una persona che si sente a disagio con il suo orientamento sessuale può essere aiutata?».