Agorà

Calcio. Genova, la lanterna si è spenta

Stefano Rissetto giovedì 9 dicembre 2021

Il presidente del Genoa, prof. Alberto Zangrillo, primario dell’Ospedale San Raffaele di Milano

Genoa e Sampdoria sono come Pat Garrett e Billy the Kid, i due dolenti e melanconici pistoleri del film di Peckinpah: inchiodati a uno stesso destino, hanno scelto di combattersi per dimenticare di essere figli di un’amicizia che a un certo punto si era biforcata da sé. Sarà infatti un derby western, nella città che senza saperlo aveva inventato l’America, una partita delle assenze e dei destini incrociati e delle parallele che si incontrano all’infinito, oppure prima, o forse mai. I blucerchiati non hanno nemmeno un presidente: Massimo Ferrero si è dimesso, dalla cella dove è finito per bancarotta fraudolenta, a San Vittore in quella Milano da cui viene il mancato dirimpettaio Alberto Zangrillo, che a Genova ci era nato per andarsene bambino, diventando barone dell’anestesiologia e medico personale del Cavaliere. Lo hanno nominato tre brokers americani di Miami che in un attimo, due mesi fa, si erano comprati da Preziosi il giocattolo più importante della carriera del Joker.

Se il Genoa pare aver trovato una rotta, in casa doriana si torna a sperare in Vialli, due anni fa a un passo dalla presidenza e intenzionato a riprovarci: il suo nome è diventato una bandiera, per tutti quelli che nella Gradinata Sud provano nostalgia del futuro. Le due squadre stanno rancorose e imperfette in fondo alla classifica, insieme con lo Spezia terzo club in A della Liguria, un’isola del Mezzogiorno capricciosamente collocata dalla geografia come battiscopa marittimo delle terre più ricche del Paese. Nessuna delle tre ha proprietari locali e anche questo è un segno. I tifosi rossoblù hanno ricominciato ad andare in massa allo stadio dopo il cambio di proprietà, i sampdoriani fiaccati da otto anni di Viperetta, messo lì - non si saprà mai perché - dai Garrone-Mondini, la più facoltosa e potente famiglia cittadina che era stata prima sponsor e poi proprietaria del club, sono il terzultimo pubblico della categoria.

Prima della pandemia, le due squadre garantivano quarantamila abbonati, quasi un genovese su dieci, la stessa percentuale di stranieri residenti in città, che fanno per esempio dello spagnolo e del rumeno e dello schipetaro le lingue ufficiali di quella parte di Val Polcevera sorvegliata dal nuovo ponte disegnato da Piano, compunto sostituto del viadotto divenuto scandalo e vergogna e dolore. A Marassi in tribuna ci saranno un solo presidente di calcio e i due uomini forti del territorio: il sindaco Marco Bucci, eletto cinque anni fa da un cartello a connotazione leghista da cui ora, in vista delle prossime comuna-li, sembra lavorare per smarcarsi; il presidente della Regione Giovanni Toti, appena riconfermato eppure molto attivo, con un pacchetto azionario di parlamentari potenzialmente importante per il Grande Gioco del Colle, sullo scenario nazionale. Anche loro sembrano avere il domicilio in qualche Altrove, come il protagonista del romanzo genovese di Tabucchi, Spino come il sefardita Spinoza, che aveva lo sguardo puntato oltre il filo dell’orizzonte.

È il primo derby per Shevchenko e D’Aversa. Il primo, immenso calciatore, è agli esordi da tecnico di club. Il secondo, sulla passerella degli squali fin da quando era stato scelto dopo il mancato accordo con molti altri allenatori, era già stato blucerchiato da calciatore senza però giocare la stracittadina. Correva, diciamo anzi arrancava l’anno 2001 e le due squadre anche allora giocavano per non retrocedere: però erano in B e il fantasma quindi si chiamava C. Per dire che non c’è tempo gramo che non ne abbia previsto uno ancor più indigesto. Il derby stavolta è qualcosa di “malgrado”, un evento “nonostante”. I genoani aspettano impazienti il mercato di gennaio, visto che gli americani come prima mossa dimostrativa della loro potenza economica hanno investito 15 milioni per sostituire Ballardini, che da una decina d’anni in casa rossoblù è l’equivalente del martello colorato custodito nella scatola trasparente dei treni con la scritta “in caso di emergenza rompere il vetro”.

I sampdoriani? In queste ore, per dire come sono prostrati e incattiviti, stanno esultando sui social per l’arresto dell’ex presidente come nemmeno la scorsa estate, al tempo della vittoria color nostalgia dell’Italia di Mancini e Vialli a Wembley, ventinove anni dopo la finale di Coppa dei Campioni che fa dire a molti di loro: «Se potessi cambiare qualcosa di tutta la mia vita, sarebbe il risultato di quella partita». La Genova che non c’è ancora è quella del supertreno con Milano, quante volte torna Milano in questa storia, che in cinquanta minuti dovrebbe collegare le due città; quella di una passeggiata sul mare che vada dal Porto Antico a Boccadasse, dove fa le fusa l’ingrugnito gattaccio Seppia finito come genius loci perfino in un cartone animato della Pixar; quella di monorotaie e funivie e bus elettrici che cancellino la disgraziata orografia di una “città in salita”, celebrata da poeti e musicisti e commedianti, ma che alla fine per ora ha come massima attrazione turistica il cimitero monumentale, oltre all’Ecce Homo di Antonello, che in una stanza di Palazzo Spinola ha nello sguardo tutto il dolore del mondo e al viandante chiede: perché? E poi ci sono appunto le due squadre di calcio, che sia moderno oppio dei popoli o prosecuzione della guerra con altri mezzi: un Genoa che negli yankee cerca le pepite di gloria risalenti ai tempi degli inglesi, una Sampdoria che vede il suo popolo desideroso di dissolvere gli ultimi anni di sghignazzi e, sembra, marachelle di un personaggio che nemmeno i genoani sarebbero stati capaci di immaginare come ideale antagonistacomplice.

Questo derby ha i volti scavati di Quagliarella e Pandev, lo stabiese e il macedone, cacciatori di scalpi in area di rigore, trentott’anni a testa eppure ancora condottieri delle rispettive armate perdute. Hanno entrambi un grande avvenire dietro le spalle, motto autopunitivo di Gassman che era nato a Struppa e rivaleggiava in vuoto interiore con Villaggio, i due genovesi ascissa e ordinata di una Superba che è diventata, vista l’età media più alta del Paese e la desolante denatalità, un paese per vecchi. Adesso questo derby, come tutta la città sospeso tra nostalgia e speranza. Il più grande genovese del Novecento, Montale anche lui finito a Milano, così avrebbe chiosato: volarono anni corti come giorni, la fanciullezza era morta in un giro a tondo.