Agorà

Prosa. Garcia Lorca poeta in scena, più telenovela che teatro

Roberto Mussapi sabato 25 settembre 2021

Una scena di “La casa di Bernarda Alba” al Teatro Gobetti di Torino fino al 30 settembre

Non capivo bene, ma mi è piaciuto: attrici bravissime, parrucche platino anni Sessanta, musica martellante, inizio euforizzante con un Guarda come dondolo di Edoardo Vianello suonato, cantato e ballato dalle donne e dall’unico uomo in scena con il volto mascherato di nero. Musica alto volume, voci dal volume altissimo e calibrato da maghi. La scena, una specie di spogliatoio con piastrelle bianche, in una teca di vetro, una quarta parete che separa il pubblico dagli interpreti, ma non con il silenzio dell’acquario... Poi l’attrice che suona benissimo il piano batte il tempo dell’azione scenica con Legata a un granello di sabbia di Nico Fidenco. In questo paramusical pop qualcosa subliminalmente arriva, e bene. Il regista è un maghetto, il teatro compiuto è in buona parte effetto subliminale. Nico ci canta di una donna che vorrebbe avere, legata, ma solo a un granello di sabbia, nella spuma del mare, come Afrodite anni Sessanta... Mentre queste sono prigioniere avvinte al macigno della madre Bernarda Alba, cattiva come Malefica in Sleeping Beauty di Walt Disney.

È teatro, mi è piaciuto, bravo il regista giovane e tagliente, Leonardo Lidi, eccellenti interpreti: da una sempre trascinante Orietta Notari, la serva, a Francesca Mazza nel ruolo di Bernarda, impeccabile in questa La casa di Bernarda Alba, produzione del Teatro Stabile di Torino (in scena al Teatro Gobetti fino al 30 settembre). Ho iniziato dicendo: mi è piaciuto anche se non ho capito bene. Non ho capito bene perché realizzare teatro vero e efficace rovesciando, facendo a pezzi una pièce, più che mediocre, scadente, come questo drammone morboso e involontariamente comico di Garcia Lorca, non è da poco. «Il teatro è stato sempre la mia vocazione», scrive il poeta, che ha dato a quella realtà molte ore della sua vita. E riassume: «Ho del teatro un concetto personale e convincente: il teatro è la poesia che esce dal libro e si fa umana». Concezione davvero ingenua. Imbarazzante: «E mentre si fa (il Teatro), parla e ride, piange e si dispera».

Senza scomodare gli scritti sul tema di Strehler, di Eliot, di Salvatore Quasimodo, senza andare agli archetipi del rapporto teatro-poesia, Dioniso dio dell’uno, e Orfeo dell’altra, senza volare troppo alto, è evidente come siano affermazioni non da poeta drammaturgo, ma da Domenico Modugno, versione La lontananza. La casa di Bernarda Alba, opera matura del teatro di Lorca, è un modello insuperabile di tale concezione: la reclusione in una casa borghese dominata da una donna ossessiva, repressiva, fanatica, che impone alle sue numerose figlie una opprimente castità dopo la perdita del secondo marito. Solo a una, nata dal primo marito, è concesso sposarsi, con un certo Pepe il romano che avrà la dote e intanto diviene amante dell’ultimogenita, Adele. La telenovela finisce con una fucilata, un finto ammazzato e una vera impiccata, che si suicida.

Il teatro borghese, Ibsen, Cechov, Pirandello, sa di avere perduto il brivido della poesia dal tempo degli elisabettiani, e con qualche tremito segreto in Molière, sa che la sua unione con la poesia è affidata a pochi eretici (Alfieri, Byron, Goethe), e affronta dal punto di vista del romanzo, e della psicologia, la questione teatrale d’origine, l’«essere o non essere». Lorca non lo sa, scrive un dramma borghese, borghesia spagnola, convinto di nutrirlo di poesia che egli confonde con violenta passione, disperazione da torero e non, invece, conoscenza avventurosa, scienza nutrita di stupori.