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CINEMA D'AUTORE. Ganz: «Il mio Terzani e il tabù della morte»

Luca Pellegrini sabato 26 marzo 2011
La morte come un’amica intima e discreta, che arriva a passi felpati, non indolori. Invisibile, fa parte del terzetto nel quale il giornalista Tiziano Terzani, malato di cancro, e il figlio Folco parlano di lei: il primo l’attende, il secondo comincia a conoscerla. Beninteso: il film La fine è il mio inizio di Jo Baier (nelle sale il 1° aprile) non è soltanto un lungo e articolato duetto sul senso della fine. È una riflessione sulle modulazioni di una vita intera, quella di Terzani padre e del suo lascito a Terzani figlio. Arduo mettere sullo schermo le pagine dell’omonimo testamento «spirituale» del famoso giornalista.La forma è quella di un kammerspiel sullo sfondo della natura, protagonista il crepitio spirituale di due personaggi lontani per età, vicini per sangue. Bruno Ganz, folta barba bianca cresciuta in tre mesi, recita con misura e passione il ruolo di Terzani, fino al chiudersi degli occhi. Un bel salto per uno come lui che nel film La caduta ha interpretato le ultime ore di Adolf Hitler, nel buio di un bunker, attorniato dall’odio e dalla paura. «Per un attore, un personaggio è soltanto personaggio. C’è la sfida di riuscire a imitarli nel modo più verosimile. Ma i mondi dove i due hanno agito sono all’opposto: quello di Hitler nel bunker era perverso, tutto andava verso la morte in modo spiacevole; nella casa di Terzani a Orsigna, in Toscana, tutto è più luminoso, gentile, umano. Quando è arrivata la malattia, Tiziano ha smesso tutte le sue attività, si è messo alle spalle le sue curiosità, si è concentrato su se stesso per capire che cosa vuol dire la morte». Lei è cambiato dopo aver interpretato Terzani? «Me l’hanno chiesto anche dopo Hitler. Forse sì, ma molto, molto lentamente».Mentre il corpo dolorante rimpicciolisce e la voce si fa lieve, nel film Terzani dice ai suoi: «Fate parte di questa bellezza che è la vita e abbracciate l’umanità». Ad ascoltarlo la moglie Angela (Erika Pluhar) e il figlio Folco, interpretato da Elio Germano. Che riflette: «Ci si deve preparare tutta una vita per poter parlare della morte. La nostra è un’epoca in cui, per la prima volta, l’essere umano rifiuta di confrontarsi con la morte, siamo una generazione che ha completamente rimosso il problema, come se non nascesse con noi. Ci sentiamo superiori al mondo. Questo modo di pensare porterà chissà a quali nuove catastrofi».Accanto agli attori spunta Folco Terzani. Che del padre dice: «È stato un uomo fortunato, la sua vita è andata bene. Ne era felice. Anche a me colpiva questo vecchio che, nella malattia, rideva. Mi diceva: "Ho fatto e visto tutto quello che volevo, ora non c’è più niente che mi interessa. Questo mondo lo conosco. L’unica cosa che non conosco è la morte. Ora voglio andare a vedere quella". Che gli rispondi a un padre che ti dice cose come queste? Lui era come un fiore che sbocciava sempre di più man mano che si avvicinava alla fine». In questo film suo padre per certi versi ha uno spirito francescano... «Credo sia un bellissimo complimento. Ho capito cos’è davvero lo spirito francescano lavorando a fianco di Madre Teresa a Calcutta, accudendo i moribondi. Oggi tutti vedono la morte come un incontro terribile, proprio perché non la conosciamo più. Al contrario del mio babbo, che l’ha accolta abbracciato alla famiglia e circondato dalla natura».