Agorà

Dibattito. Se fu davvero guerra civile

Francesco Traniello mercoledì 22 aprile 2015
​A conferire meritata fama (e larga diffusione) al volume Una guerra civile pubblicato da Claudio Pavone nel 1991 contribuì, in misura non marginale, il suo titolo: che però solo in parte rifletteva l’effettivo contenuto dell’opera.Frutto di un lavoro di ricerca durato vari anni, il libro era stato infatti concepito  come un «saggio storico sulla moralità nella Resistenza», secondo quanto veniva precisato nel sottotitolo. Fu nondimeno quel titolo ad attrarre l’attenzione prevalente dei lettori e della critica, nella misura in cui sembrò a molti infrangere una sorta di tabù che  era lungamente gravato sulle rappresentazioni – e non solo su quelle a sfondo celebrativo – della Resistenza italiana. A suscitare maggior scalpore era il fatto che la locuzione  «guerra civile» riferita alla Resistenza faceva la sua comparsa sul frontespizio di un libro che non aveva alcun intento "revisionistico" nei riguardi del fenomeno resistenziale, ponendosi semmai in alternativa  alle molte voci che da vari anni e con diversi accenti si erano invece levate in tal senso.Chi avesse avuto l’avvertenza di guardare più a fondo nella trama del libro di Pavone si sarebbe peraltro accorto agevolmente che l’autore utilizzava la locuzione di «guerra civile» per designare uno degli aspetti o dei volti della Resistenza, da lui raffigurata come l’intreccio e la sovrapposizione di tre guerre (rispettivamente denominate «di liberazione nazionale», «guerra civile» e «guerra di classe»); e, inoltre, avrebbe potuto constatare che la seconda, più controversa, denominazione era già entrata  in circolo, nel corso degli eventi e in epoca appena successiva, per opera di molti dei  protagonisti della vicenda resistenziale. Ciò non toglie che  la dimensione della Resistenza come guerra civile continuasse a rappresentare un grumo non sciolto nella memoria collettiva e nell’indagine storiografica. Tant’è vero che intorno al binomio Resistenza-guerra civile  si imperniarono prima e dopo la pubblicazione del suo volume altri numerosi interventi dello stesso Pavone e gli scambi d’idee da lui sostenuti in sedi più riservate con vari interlocutori.Tra questi ebbe un posto di spicco uno studioso di gran fama come Norberto Bobbio, legato a Pavone da molti fili ideali (a cominciare dalla originaria militanza nel Partito d’Azione) e, a propria volta, voce autorevole del dibattito pubblico sulla Resistenza. Ne dà ora testimonianza la silloge di testi di diversa ampiezza dati alle stampe dai due personaggi tra il 1965 e il 1994, integrata da un carteggio di 16 lettere tra loro scambiate dal 1983 al 2001, corredata da una puntuale introduzione a firma di David Bidussa, e pubblicata dall’editore torinese Bollati Boringhieri con un titolo ricalcato su quello del libro di Pavone: Sulla guerra civile. La Resistenza a due voci (pp. 178, euro 15).La documentazione raccolta rivela, da un lato, i considerevoli punti di convergenza tra i due studiosi riguardo all’immagine delle tre guerre applicata alla Resistenza – da loro definite in termini analoghi, ma non esattamente collimanti; e, dall’altro lato, l’evidente preoccupazione di Pavone di evitare che il concetto di guerra civile potesse venire inteso, contro le sue intenzioni, alla stregua di connotato dominante ed esaustivo della Resistenza: «Io sono convinto – scriveva a Bobbio il 14 luglio 1991, inviandogli la premessa e il sommario del volume ormai in bozze – che le tre guerre spesso convivono, non senza contraddizioni, negli stessi soggetti individuali e collettivi. Si potrebbe anche dire che le tre guerre sono disposte una dentro l’altra». Nella stessa lettera, Pavone rivelava poi che il titolo Una guerra civile era il «frutto di lunghe discussioni con Bollati», in seguito alle quali «la guerra civile aveva finito di fare aggio sulle altre due»: dove è forse possibile cogliere qualche residua perplessità dell’autore sulla piena adeguatezza del titolo infine adottato.
Ma, a parte questi ed altri numerosi spunti che si possono ricavare dalla documentazione qui raccolta, ne risulta con sufficiente chiarezza l’esigenza – fatta valere con insistenza da parte di Bobbio – di attenersi al «significato descrittivo» ed «emotivamente neutro» del concetto di guerra civile; e, d’altra parte, l’esatta percezione di entrambi gli interlocutori che tale concetto aveva subito, già prima della Resistenza, un notevole slittamento semantico con cui era giocoforza misurarsi. Ne discendeva, come osservava  Bobbio in un articolo del 1992 apparso sulla rivista Teoria politica, che alla Resistenza italiana si poteva applicare la denominazione di guerra civile a condizione di «ridefinirne la specifica natura», sfuggente alla tradizionale distinzione tra guerra esterna e guerra interna, se intesa, quest’ultima, come «insurrezione di una parte dei cittadini contro il proprio Stato».Ciò che Bobbio identificava come tratto peculiare della Resistenza rispetto alle «guerre civili più comuni», era il suo essere iniziata non come insurrezione contro uno Stato costituito, bensì «nel momento della disgregazione dello Stato esistente, in una situazione di vuoto di potere che è stata assimilata allo stato di natura». Sembrava restare più in ombra, nel discorso di Bobbio, il ruolo centrale esercitato nell’imprimere alla Resistenza anche lo specifico connotato di guerra civile dalla costituzione della Repubblica di Salò come Stato fascista asservito al Terzo Reich e alle forze di occupazione tedesche.Come già accennato, i testi raccolti nel volume in oggetto consentono di ripercorrere, in controluce, le variazioni subite dal concetto di guerra civile nel corso del Novecento, in ragione dei radicali cambiamenti intervenuti negli apparati ideologici e nelle condizioni politico-istituzionali da cui la locuzione aveva tratto origine. Sotto questo profilo i problemi suscitati dall’applicazione dell’attributo di guerra civile alla Resistenza italiana appaiono interconnessi, da un lato, con uno scenario storico molto più ampio concernente l’intero Novecento europeo, e, dall’altro lato, con le grandi e conflittuali linee interpretative della sua storia.
Appare quindi giustificata la scelta editoriale di concludere la raccolta di testi con un contributo solo in apparenza eccentrico rispetto all’asse principale del volume, vale a dire con l’ampio saggio di Claudio Pavone La seconda guerra mondiale: una guerra civile europea? pubblicato nel 1994 in un volume collettaneo a cura di Gabriele Ranzato. Vi si trovano discusse, con la finezza analitica largamente riconosciuta all’autore, le scaturigini, le condizioni e i limiti del concetto di guerra civile europea, a partire dalla prima guerra mondiale sino alla fine della seconda, come possibile, ma problematico, canone ermeneutico della storia novecentesca. Ne esce definito uno sfondo da cui prendono un senso più chiaro, al di là degli aspetti più marcatamente ideologici, anche le discussioni sulla Resistenza italiana, grazie a una raffigurazione eminentemente realistica delle lacerazioni che attraversarono l’Europa lungo la cosiddetta «guerra dei trent’anni».Se un appunto si può muovere al testo di Pavone riguarda il ruolo troppo marginale che vi era attribuito al nesso leninista guerra civile-rivoluzione e alle sue permanenze, in forme talora mutate, nel patrimonio dottrinale e pratico dei partiti comunisti europei. Il recente tracollo dei regimi comunisti avrebbe potuto forse dettare a Pavone qualche più puntuale e distesa considerazione storica in argomento.