Agorà

FESTIVAL DI ROMA. «Gli inediti religiosi del laico Antonioni»

Luca Pellegrini giovedì 27 ottobre 2011
Con il pudore del laico e la sensibilità dell’artista, Michelangelo Antonioni, del quale il prossimo anno ricorre il centenario della nascita, si avvicinò due volte a soggetti legati alla religiosità e al cristianesimo. L’attenzione del grande regista ferrarese si soffermò, infatti, nel 1982, sulla figura di Frate Francesco, che voleva fosse interpretato, lungimiranza e intuito, da Roberto Benigni, capace di recitare nella lingua dei Fioretti. Il film naufragò, vuoi per i costi, vuoi per l’ottusità dei produttori. Circa otto anni prima, a metà degli anni Settanta, era stata la figura di Santa Teresa d’Avila ad attirare il suo sguardo severo. Una frase della mistica carmelitana lo aveva colpito, diventando il titolo di un film mai nato: Patire o morire. Sui segreti di questa sceneggiatura inedita e "religiosa" - la cui ultima e quinta stesura venne rivista anche da Tonino Guerra - ne discuteranno il 1° novembre, in un incontro programmato dal Festival del Film di Roma al Villaggio del Cinema, Elisabetta Antonioni, nipote del regista che ha fondato l’Associazione Michelangelo Antonioni di Ferrara, la scrittrice Silvia Ronchey e il critico Paolo Mereghetti. L’idea di organizzare questo incontro è nata da circostanze del tutto casuali. «In una intervista – racconta la Antonioni – Silvia Ronchey affermava di possedere questa sceneggiatura inedita. Ricordava come, prima della sua laurea ottenuta nel 1976, era stata avvicinata da Antonioni che, con grande umiltà, le chiedeva aiuto per la ricerca di particolare materiale storico sulla vita e le regole monastiche. Questi ricordi si sommano ai miei: nella serietà del lavoro preparatorio, il regista affiancò anche la visita di una quindicina di monasteri in Umbria, mantenendo negli anni successivi una corrispondenza epistolare con alcune suore, del cui mondo parlava con ammirazione e rispetto estremi, tanto che il primo titolo del film doveva essere Clausura».Se fosse arrivato sugli schermi, quale film avremmo visto?Antonioni ci avrebbe fatto scoprire un lato inedito, inoltrandosi in modo insolito nella dimensione della mistica cristiana. Protagonista del film è un architetto che casualmente si avvicina a un ex-convento spagnolo il cui proprietario italiano vuole riadattarlo a fini commerciali. Per portare a termine questo restauro, frequenta la Biblioteca Vaticana, dove incontra una ragazza che lo avvicina alla mistica, perché lui vuole conoscere la vita che si svolgeva dentro le austere mura dell’edificio. Comincia così a scoprire un nuovo mondo.Un mondo anche per Antonioni del tutto lontano, inaspettato.  Un mondo per lui distante, quello della religione e della fede. Una ricerca che non troviamo in nessun altro film. Naturalmente il fascino del misticismo per lui si condensa in quel senso di spoliazione e di silenzio vissuto dalle carmelitane, che sentiva in sintonia. In lui troviamo anche il rispetto sincero per donne capaci di votarsi a un amore assoluto e eternamente fedele. C’erano due autrici cristiane di riferimento nelle sue letture preferite: Edith Stein e Santa Elisabetta della Trinità.Amore molto diverso da quello, spesso impossibile, tra due essere umani, che è al centro di molta della filmografia di Antonioni.Con Patire o morire avrebbe toccato un altro genere, del tutto diverso, di rapporto. Tanto è vero che l’architetto protagonista, sul finire del film, incontra per la strada, nella notte di Natale, una ragazza, la segue in una chiesa, ma durante la Messa si addormenta. Finita la celebrazione, la raggiunge, cerca di avere un appuntamento per il giorno successivo, lei gli risponde che sarebbe entrata in un convento di clausura. Questo nucleo centrale della sceneggiatura è stato ripreso nel terzo episodio di Al di là delle nuvole, che Antonioni diresse oltre vent’anni dopo.  Desiderava che una parte del suo soggetto, a cui teneva così tanto, non andasse perduta per sempre. Ricordando questa storia inedita, cosa la colpisce di più di Antonioni?Quello che scrive ad una suora: «Se amare la natura e amare la vita è credere, allora sono un vero credente».