Agorà

Cinema. Favole di Natale a tutto schermo

Luca Pellegrini giovedì 18 dicembre 2014

Crudelia De Mon, con i cuccioli di dalmata, amava farci pellicce. Millicent Clyde, invece, gli animali rari adora impagliarli per la sua collezione. Ovvio che un orsetto proveniente dal cuore del Perù e che per di più parla e cammina come uno di noi, attiri la sua ossessiva attenzione. Paddington, questo il nome della deliziosa creatura, trovato abbandonato e solo nell’omonima stazione londinese dalla famiglia Brown e accudito poi con amore, ha iniziato a fare breccia nei cuori dei più piccoli nel 1958 grazie al libro di Michael Bond e finalmente, dal 25 dicembre, le sue esilaranti avventure arrivano al cinema. Montgomery blu e cappello rosso da esploratore, sorrisetto capriccioso, modi gentilissimi, Paddington ha appassionato intere schiere di lettori, non solo inglesi.  Il film è divertente, garbato, costellato di personaggi interpretati da grandi attori, il fior fiore del teatro britannico, che non hanno resistito al fascino di mettersi a fianco del loro stravagante eroe, creato e animato al computer (con la voce di Francesco Mandelli nella versione italiana): Hugh Bonneville, Sally Hawkins, Julie Walters, Jim Broadbent. E Nicole Kidman, che da piccola pure ne era appassionata lettrice e che qui si ritaglia il ruolo della cattiva scienziata. David Heyman, il produttore, confessa: «Paddington ha fatto parte della mia infanzia, ho amato i suoi libri fin da bambino. Prima me li leggeva mia madre, poi ho cominciato a farlo da solo. Nel momento in cui le ho confessato che avrei fatto un film su Paddington, lei ha tirato fuori dall’armadio l’orsacchiotto di quando ero piccolo. Mi sono subito reso conto che le sue storie non erano divertenti solo per i bambini, ma facevano ridere anche me. Inoltre, la splendida creazione di Michael Bond è sempre attuale perché incarna i valori della civiltà, della correttezza e dell’onestà. È ghiotto di marmellata, è vorace. È un entusiasta, vede il lato positivo della vita e delle cose. È il classico “outsider”, guarda al nostro mondo da un altro punto di vista e ci incoraggia a farlo con occhi nuovi». I Browns, che lo accolgono con diversi sentimenti, sono una famiglia davvero particolare. «All’inizio piuttosto disgregata – continua il produttore –. Non è un disastro, però non comunicano come dovrebbero. Mr. Brown è un padre adorabile ma esageratamente protettivo nei confronti dei figli, quindi il pensiero della presenza di un orso nella loro casa di Windsor Garden all’inizio lo fa inorridire. Il film è anche la storia di questa famiglia che torna a unirsi e di come il Signor Brown cominci a rendersi conto di come Paddington sia una ricchezza per la sua famiglia». Ci sono momenti di grande umorismo, soprattutto quando Paddington finisce in situazioni in cui non capisce come funzionano bene le cose, ad esempio in bagno o in metropolitana. «Il monello di Chaplin è il film al quale mi sono ispirato – precisa il giovane regista Paul King – perché anche qui c’è tristezza e un gran cuore. Tutti i libri di Bond sono incantevoli, ti danno quella sensazione di un mondo meraviglioso a metà tra il presente e il passato, che io trovo molto rassicurante. Lo scrittore dice sempre che Paddington non appartiene a un’epoca specifica, vuole che viva nel presente, ma allo stesso tempo è pervaso dalla nostalgia dei tempi felici. Per questo Paddington tira fuori il meglio delle persone».  Nel film è un vero orso, un animale selvatico, anche se dolce, simpatico, educato. Ma quello che Paddington ha di speciale non è che sia, appunto, un orso o che gli piacciano i panini alla marmellata o abbia un aspetto così simpatico e delizioso. «Il suo fascino è che riesce a far presa sulla parte migliore di noi – confessa King –. Quando lo trovano alla stazione, ha un cartellino al collo con scritto: “Prendetevi cura di quest’orso, grazie”. Per me questa è la vera grandezza del personaggio. Lui non chiede aiuto. Qualcuno chiede aiuto per lui al suo posto. Chiede di essere accolto nei nostri cuori e nella nostra casa. Sollecita i nostri istinti migliori e per questo l’universo in cui vive è un luogo accogliente e confortevole, perché lì le persone diventano migliori grazie a lui». Potrebbe succedere anche dopo aver trascorso un paio d’ore al cinema in sua compagnia. LA DOPPIA VITA DEL MICIO DINO Rodolfo guardava «nei cieli bigi fumar dai mille comignoli Parigi» dall’alto della sua soffitta dove conduceva vita da Bohème; il gatto Dino, nero come quel fumo, tra quei camini della Ville Lumière scorazza ogni notte, quando si mette al fianco di Nico, un ladro abile e di buon cuore. Con la sua spericolata agilità è il protagonista di Un gatto a Parigi, film di animazione di Jean-Loup Felicioli e Alain Gagnol, già candidato all’Oscar nel 2012 e da oggi in sala. Il micio di giorno vive avvinghiato a Zoé, che ha perso il padre ucciso da un noto criminale e da allora la voce le è morta dentro; Jeanne, la mamma, è un commissario di polizia il cui scopo è quello di assicurare il criminale alla giustizia, proprio mentre sta organizzando un nuovo, clamoroso colpo a una galleria d’arte. Tutto è tranquillo quando il sole brilla sulla città e il gatto fa le fusa tra una poltrona e un letto; tutto si anima, soprattutto sui tetti, quando le ombre si allungano e cala la notte. L’ambientazione scelta dai due autori fa spesso il verso a Hitchcock e il loro disegno si sbizzarrisce nei tratti, che sono spigolosi, freschi, di ispirazione quasi cubista. Lo confermano sia Felicioli («Per noi la sensibilità della linea è più importante del virtuosismo tecnico») sia Gagnol («Le nostre immagini sono più vicine alla pittura e meno basate su un’idea spettacolare dell’animazione»). Quando la piccola Zoé decide di pedinare l’affettuoso felino per scoprirne i misteri, gli inseguimenti su e giù per tetti e soffitte si moltiplicano e tutti gli ambienti sono tagliati in modo suggestivo da fasci luminosi oppure immersi nella totale oscurità, dove la vista del gatto ha sempre la meglio. All’alba un ladro si pente, un cattivo è punito, una bambina ritrova la voce e una mamma felice la stringe a sé. Naturalmente attende le meritate coccole un bel gattone nero.