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Musica. Ezio Bosso: «Un inedito dedicato a mio padre»

Angela Calvini martedì 24 aprile 2018

Il maestro Ezio Bosso torna in concerto come direttore d'orchestra.

«Nell’ultimo anno ho impresso un cambio di passo al mio cammino. La musica è la cosa più bella che mi succede, per questo sono sempre più assente. Un po’ perché faccio fatica, ma soprattutto perché io ho deciso di puntare solo su progetti mirati, che facciano sentire più vive le persone grazie alla comprensione della musica. Solo così sono felice». Seduto al tavolino di un bar vicino a casa, in una assolata giornata bolognese, Ezio Bosso ci racconta con uno dei suoi ampi sorrisi i nuovi progetti e le nuove idee di un musicista che non demorde e che, nonostante la malattia neurodegenerativa progressiva con cui convive, si spende fino in fondo per uno scopo: mettere la musica a disposizione di tutti. Tanto da essere stato nominato testimonial europeo della Festa della musica per cui quest’estate terrà un evento speciale. Intanto, dopo la nomina lo scorso anno a direttore residente stabile del Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste, Bosso torna ora con una nuova serie di concerti, lezioni aperte e due nuovi dischi, di cui uno con un inedito dedicato al padre scomparso.
Si inizia al Verdi di Trieste il 29 aprile con Letture aperte. Scoprire la musica insieme dedicata all’Ave Verum insieme a orchestra e coro dello stabile giuliano, per passare il 5 maggio al Conservatorio di Milano con un concerto in cui alternerà la direzione della Stradivari Festival Chamber Orchestra su musiche di Ciaikovskij e Bach, al piano, in una delle sempre più rare esecuzioni pubbliche dei propri brani sul suo adorato Steinway. Il tutto a favore dell’Associazione Diamo il La per l’acquisto di strumenti musicali per la didattica negli asili e nelle scuole materne dell’hinterland milanese.

Maestro Bosso, come sta andando la sua esperienza presso il lirico di Trieste?

«Trieste è una città che come Bologna mi vuole bene, che mi ha accolto con dolcezza, con un’orchestra che è finita sui giornali per rinnovare la stima nei miei confronti e per chiedere più lavoro insieme. In questi anni in cui si parla così male degli orchestrali, noi stiamo crescendo, siamo un bella famiglia. Con loro iniziamo questa nuova avventura, questa follia delle “letture aperte”: insieme all’orchestra faremo scoprire un brano alle persone attraverso tutti i sui aspetti, attraverso la storia personale dell’autore, ai modi in cui si approccia alla musica fino a capire perché quel determinato direttore, che sarei io, ha scelto quel brano. Iniziamo dall’Ave Verum, partendo dal testo eucaristico del XIV secolo passando per Mozart, Liszt e Ciaikovskij».

Lei continua, quindi, nella sua attività di divulgatore attraverso la partecipazione attiva del pubblico.

«Continuo a leggere di persone che si scandalizzano del pubblico impreparato nei teatri dell’opera. Lo trovo assurdo: fra un po’ bisognerà avere il curriculum per entrare a teatro. Siamo noi musicisti a dover dare sempre più strumenti per appassionare e far partecipare il pubblico. Stiamo violentando la natura di questa musica meravigliosa nel sostenere che uno per andare a teatro deve essere “studiato”».

A Milano invece si dedicherà ai bambini?

«Quest’anno con l’associazione Mozart 14, che prosegue i progetti sociali ed educativi voluti da Claudio Abbado e di cui sono testimonial, cercheremo di organizzare un concerto perché abbiamo bisogno di fondi. Invece il 5 maggio per l’associazione Diamo il La sosterremo la bellissima iniziativa di comprare strumenti per i bambini delle scuole d’infanzia per dargli i primi accessi al mondo della musica. È una rivoluzione, non un bel gesto».

Quest’anno lei torna anche a dirigere una serie variegata di concerti.

«Sarò a Lucca, a Parma e a Roma a Santa Cecilia il 12 luglio. Qui mi hanno chiesto di tornare con un concerto che parla di nuovi mondi. Eseguirò la Nona di Dvorjak e la mia prima sinfonia in forma di concerto per violoncello, Oceans. Sarà un concerto legato al tema della migrazione, anche alla migrazione da noi stessi, alla ricerca di un posto migliore in cui crescere».

Siamo in attesa di sue nuove produzioni discografiche...

«Ora che è molto più calma la mia vita, ho inciso due album che usciranno per Sony. Uno è un lavoro di repertorio con l’orchestra da camera Stradivari, l’altro invece un album che parla delle radici in senso lato, che non sono una prigione, ma che anzi ci liberano. Sarà un disco che esplora le radici della musica, ma anche della religione e delle diverse forme del credere. Ci sarà quel “vecchiaccio” del mio adorato Bach con i suoi corali sacri, che poi si tramutano nei due suoi credo, quello in Dio e quello nella musica. Poi c’è Arvo Pärt che viene considerato un mistico, c’è il mio maestro Cage, e c’è persino il mio papà nascosto lì dentro».

Un lavoro dedicato a suo padre?

«Il disco finisce con una sonata per violoncello e pianoforte che dura un’ora, un percorso alla ricerca delle radici che cominciai a scrivere quando mancò il mio babbo e che ho continuato a scrivere fino ad adesso. È una riflessione basata sul dubbio, ti rendi conto che un pezzo della tua radice non c’è più, perché le radici hanno parti che si staccano per permettere alle altre di vivere meglio. Il fenomeno delle radici è meraviglioso. Recenti studi hanno dimostrato che esiste il world wild web, ovvero che che quasi tutti gli alberi del mondo sono connessi, le radici sono l’intelligenza e il carattere dell’albero. Tutti questi pensieri sono finiti nella sonata».

In tutto ciò, le manca solo un programma televisivo per divulgare la musica a un pubblico ancora più ampio. Le piacerebbe?

«Certo, mi piacerebbe fare una programma che intitolerei Che storia è la musica?. Qualche decennio fa ci sono stati i meravigliosi Young People’s Concerts di Leonard Bernstein che hanno fatto tanto per la cultura americana. A volte basterebbe solo trasmettere i concerti un po’ più spesso e non relegarli in spazi ed orari minori. Occorre credere un po’ di più nella musica: la televisione è ancora fondamentale per la divulgazione. Se accadesse, ci lavorerei con la passione con cui facci tutto».

E perché no un concerto evento in tv?

«Io lo dissi apertamente dopo Sanremo. Tornerò dal vivo in televisione solo quando farò un concerto di musica classica, facendo capire come la musica sia fondamentale per tutti i nostri aspetti, come sia bella, come sia oltre tutti i nostri schemi, come sia vita pura, senza compromessi. La musica non basta studiarla, bisogna crederci. Io quando sento dire che un prodotto “funziona” o “non funziona”, vedo una aridità e una avidità che non mi appartengono e che non appartengono a nessun musicista che frequento».

Problemi con cui di deve confrontare anche da direttore d’orchestra stabile?

«Il ruolo di un direttore stabile è quello di dare una direzione musicale, un suono, una tipicità, di far crescere le potenzialità che ci sono nell’orchestra, nel coro ma anche nei tecnici e nei macchinisti. Purtroppo ci si scontra con un Paese che non crede più nella musica, quindi si parla più dei problemi di budget che non di problemi musicali. E questo dà adito a un modo di essere direttore che io non amo, cioé essere solo una figura che sceglie quello che ha voglia di fare. Io sceglierò sempre quello di cui c’è, a mio avviso, bisogno per crescere e per migliorare. La musica mi ha insegnato che migliori solo quando stai facendo bene, ma ha bisogno di coraggio, di credere insieme nelle cose. Ed è uno sforzo non da poco».

Sarà per questo che lei gode del grande affetto del suo pubblico?

«Perché sono una persona e non un personaggio. Quando sento affetto, sento anche il senso di debito. Non voglio che l’affetto mai si tramuti in idolatria, non mi piace la parola fan: il fanatismo comporta non lucidità. Come il fatto di creare continui “pop idol”. Come fai a crescere i bambini? I bambini sono delle persone piccole, non gli si deve parlare come a degli idioti. Io da bambino non volevo scimmiottare un grande, mi piaceva ascoltare e aspiravo a crescere, nel senso più puro del termine. E molti dei bambini che incontro sono così. Ma un bambino che non ha accesso alle differenze, è un bambino che non cresce. E puoi farlo solo attraverso la conoscenza, la curiosità, lo stimolo. Io sento questa responsabilità e lavorerò su questo sino in fondo».