Agorà

Pensare con i piedi. Ibra dimostra che sei leggenda nella gara d'esordio della Svezia

Massimilano Castellani lunedì 13 giugno 2016
​Si fa presto a dire sono «una leggenda». Zlatan Ibrahimovic non ha ancora cominciato il suo Europeo con la Svezia che già si autoproclama “leggendario”. Per carità Zlatan il terribile è da almeno tre lustri lo spettro di tanti portieri: ha segnato tanto e vinto molto: in Italia (Juve e Inter) in Spagna (Barcellona) e in Francia (PSG), però tutti sanno che con l’Europa, intesa come Coppe – ha una certa idiosincrasia. Nelle squadre di club la “sindrome da Champions” di Ibrahimovic è ormai materia di studio degli antropologi, ed è strano che Marc Augè non ne abbia scritto nel suo estemporaneo trattato Football. Il calcio come fenomeno religioso (EDB). All’Inter hanno vinto il “triplete” dopo il suo addio. Di certo Ibra nella Svezia degli ultimi vent’anni è di gran lunga il miglior talento che si sia visto su un campo di calcio: basti pensare che con la maglia della nazionale ha realizzato 62 gol (più di uno ogni due presenze). E di questo gli svedesi devono ringraziare la famiglia multietnica del prode Zlatan che è un altro pupillo in esilio della grande scuola tecnica dei “brasislavi”, in quanto figlio di padre bosniaco e madre croata. Però tutto questo non ne fa ancora una leggenda, ma solo un grande campione, al quale a 35 anni manca ancora il sigillo leggendario (Champions o Europei faccia lei, e perdoni la rima). E non lo diciamo solo noi, ma gli stessi svedesi: nella classifica dei loro assi dello sport di tutti i tempi per il popolo scandinavo primo viene il tennista Bjorn Borg, secondo Ibra. Ci perdoni Zlatan, ma una leggenda non è mai seconda a nessuno.