Agorà

Religione. Esigente di futuro, il cristiano di oggi è come quello dei primi secoli

Riccardo De Benedetti venerdì 12 giugno 2020

Siamo gli ultimi cristiani in un mondo ormai non più cristiano? Così s’interroga Leonardo Lugaresi in un libro che già dal titolo, Vivere da cristiani in un mondo non cristiano. L’esempio dei primi secoli (Lindau. Pagine 293. Euro 24,00), indica gli interessi principali dell’autore, che è storico e studioso di letteratura patristica: i primi secoli del cristianesimo. Anche un altro suo libro, Teatro di Dio. Il problema degli spettacoli nel cristianesimo antico (II–IV secolo (2008), ci segnalava questa sua area di studio.

Quella dell’inizio non è una domanda leggera. Non può ridursi a semplice constatazione sociologica, anche se le cifre e i fenomeni che descrivono il progressivo scristianizzarsi delle nostre società sono impressionanti. Alcuni sono evidenti, altri di difficile interpretazione. In ogni caso, per ripetere un ritornello abusato, per i cristiani nulla sarà più come prima. Ma di che prima stiamo parlando? Quello dei secoli immediatamente successivi alla morte di Cristo fino all’epoca costantiniana. La storiografia li chiama i primi secoli cristiani, ma, come li descrive Lugaresi non dovevano esserlo poi tanto. Chiese poche, e noi ne abbiamo così tante che molte vengono trattate come fossero musei; sistema giuridico privo di qualsiasi riferimento alla verità cristiana; una società nella quale l’individuo poteva scegliere tra un’offerta pressoché infinita di culti, riti, sette in un relativismo che tutto soffocava e riduceva all’insignificanza. Per non parlare dell’economia, gravata dallo schiavismo, dalla povertà di plebi tenute a bada da ludi e circenses. Un mondo tale che la nostra progressiva fuoriuscita dalla societas christiana può essere considerata un evento quasi gestibile che, alla fin fine, lascia ancora qualche residua possibilità di intravedere in ordinamenti, sociali e politici, qualcosa che risale alla predominanza del cristianesimo come forma di vita, di civiltà. Saranno luci che ci appaiono fioche... ma ci sono.

I primi cristiani non avevano neppure quelle. Qualcosa di questa nuova condizione dei cristiani nelle società contemporanee, in verità, poteva essere già percepito quando nella seconda parte dell’Ottocento un certo Nietzsche faceva dire al suo Zarathustra – non a caso nome preso da una delle religioni, il mazdeismo, partecipe del gran pentolone religioso del periodo –: «Ecco! Io vi mostro l’ultimo uomo». E intendeva: l’ultimo uomo... cristiano. Ebbene, proprio per evitare di dare ragione, in modo neanche tanto paradossale alla costruzione “ideologica” nietzscheana, oggi un luogo comune post–post–moderno, quindi ipermoderno, Lugaresi ci dice: non siamo gli «ultimi» cristiani, caso mai, siamo «come» i primi cristiani. Da qui in poi il libro, occasionato, nel senso migliore del termine, da un fortunato ciclo di conferenze svolte dall’autore a Reggio Emilia col patrocinio della Diocesi agli inizi del 2019, racconta l’esercizio della krisis cristiana nei primi secoli dopo la morte di Cristo. Dove krisis è il momento del giudizio che il cristiano getta sulla condizione del mondo. Un giudizio che, al contrario di come lo si intende quando si rimprovera ai cristiani l’arroganza di giudicare i comportamenti del mondo, non è una condanna ma un modo di esercitare la critica. Critica che a sua volta comporta il far valere l’uso corretto ( chrêsis) che il cristiano può e deve fare del mondo.

Esempio? San Paolo che discute all’Aeropago, al quale Lugaresi dedica pagine davvero molto chiare. Ed è in forza di queste pagine che sono dirette non tanto agli specialisti ma ai cristiani che stanno nel mondo che monsignor Massimo Camisasca nella sua postfazione può dirci che «il cuore di ciò che il cristianesimo vuol proporre all’uomo non riguarda il passato, ma il futuro». Ed è per questo che in fondo il cristiano è sempre nella condizione di non essere mai l’ ultimo”.