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Intervista. Il pedagogista Novara: Educare senza urlare

Rossana Sisti giovedì 27 novembre 2014
C’è chi con pazienza intraprende la strada delle spiegazioni minuziose e chi più spiccio conta fino a tre; chi ordina perentoriamente e chi supplica; chi promette e minaccia punizioni; chi adotta l’urlata e chi dopo un’estenuante contrattazione passa alle maniere forti, uno strattone o un insulto gridato con rabbia. Farsi ascoltare dai figli non è mai stato facile per i genitori: al padre padrone bastava un’occhiata, un’alzata di sopracciglio a incenerire un’intemperanza infantile, per il resto c’erano botte e punizioni ad hoc. Oggi pochi hanno nostalgia di quell’educazione autoritaria e brutale che doveva drizzare la schiena al giovane virgulto, sebbene al genitore contemporaneo, dialogante e disponibile, morbido e protettivo verso i figli la pazienza scappi in fretta così che spesso le maniere forti tornano in auge. Urla, minacce e scapaccioni, ultima spiaggia quando il bambino s’intestardisce. Del resto sono in tanti a pensare che alzare il volume migliori la comunicazione. Ma poi cosa significa non essere ascoltati? L’educazione è questione di ascolto? Davvero si è convinti che  l’obbedienza sia la prima virtù di un bambino? Domande retoriche, considerata l’ovvietà del titolo dell’ultimo lavoro di Daniele Novara  in questi giorni in libreria per i tipi della Bur (pagine 288, euro 13) Urlare non serve a nulla. Pedagogista, impegnato sul fronte della gestione dei conflitti, Daniele Novara da anni anima in tante città italiane Scuole per Genitori, spazi di confronti e riflessioni in cui giovani coppie alle prese con bambini piccoli o adolescenti, spesso confuse su come interpretare il proprio ruolo, imparano ad affrontare gli inevitabili conflitti con i figli, i capricci, le opposizioni e le ribellioni, come un’occasione educativa. Questo libro, racconta il pedagogista, nasce dalle tante storie familiari raccolte in anni di consulenze e di incontri, dalle testimonianze dei disagi raccolte sui due fronti dei genitori e dei figli. Novara come sempre va al centro del problema: parte dal genitore affettuoso, confidenziale, troppo morbido, troppo servizievole e disponibile, meticoloso nei discorsi infiniti e nelle spiegazioni concettuose, quello che vuole fare al meglio ma poi si impantana nel risentimento e nelle piccole vendette o che le prova tutte per farsi obbedire… anche le sberle, magari per dimostrare al bambino che fanno male. Il genitore emotivo che in nome dell’affetto si lascia tiranneggiare dal bambino rischiando a sua volta di diventare un tiranno. «Il genitore che improvvisa o preferisce reagire istintivamente, piuttosto che stabilire regole chiare, divieti precisi e utilizzare una comunicazione ferma e decisa, adeguata alle capacità effettive del proprio figlio. La formula secondo cui più si parla, più si immagina di essere ascoltati - chiarisce Novara - è ingannevole. Fare la mossa giusta, o magari rimandarla dopo averci pensato su, vale più di tante parole. Ma anche pensare che la propria disponibilità debba essere ripagata con l’obbedienza è un equivoco serio, fonte di inutili frustrazioni che degenerano in collera, castighi e urlate. Mortificazione nei figli e sensi di colpa nei genitori. Io penso - ribadisce - che si possa fare diversamente e meglio. Senza troppe difficoltà e senza una laurea in pedagogia». Davanti a papà e mamme troppo coinvolti nel lavoro di cura, di accudimento e protezione materiale dei figli, il richiamo di Daniele Novara punta a una buona organizzazione educativa. «L’educazione è anche un fatto organizzativo. Una giusta distanza emotiva che consente a bambini e ragazzi le cose semplici di cui hanno bisogno e cioè sentirsi sicuri perché i genitori ci sono davvero, regole chiare, comunicazione sobria e insieme tutta l’autonomia possibile». Novara lo definisce "metodo maieutico", contrapposto al metodo correttivo, fatto di ordini, comandi e castighi che non vanno confusi con le regole. «I bambini vogliono diventare grandi, hanno realisticamente bisogno di imparare a vivere, di muoversi molto, di apprendere ciò che non conoscono. Come possono crescere se non fanno esperienze, se gli adulti si sostituiscono a loro, li vestono, li imboccano e li servono fino a dieci anni e anche più? Se  non permettono loro di mettersi alla prova?  Le punizioni li mortificano, quella che alcuni pedagogisti chiamano servizievolezza li soffoca e li spegne. Le buone consuetudini invece permettono ai bambini di essere tranquilli e sapere cosa possono fare, quando e come. Il genitore maieutico aiuta il figlio a imparare dalle proprie mancanze, dà fiducia e altre possibilità, accetta che possa sbagliare senza farlo sentire sempre il solito». Il solito idiota, che se ne frega, che non ascolta mai… Insomma il genitore educativo è quello che non si abbandona alla rabbia, che non si offende e non fa ritorsioni, non fa l’amicone dando quella confidenza che è pronto a ritirare violentemente alla prima occasione, non vuole trasformare o plasmare i figli a proprio piacimento. Allenarsi quando il bambino è piccolo è un investimento per quando si avrà a che fare con l’adolescente, che vorrà giustamente prendere le distanze dai genitori. E i sistemi rigidi di controllo allora faranno acqua. «Quello è il momento delle regole negoziate, chiare e di buon senso - continua il pedagogista - di strumenti organizzativi che creano un argine di protezione all’azione dei figli lasciando loro spazi di libertà. Ma evitano discussioni infinite, conflitti e rotture. Qui però devono entrare in azione i padri, e le mamme con la loro tendenza all’accudimento invasivo, fare un passo indietro, mantenendo il proprio ruolo di appoggio al gioco di squadra che fa funzionare bene le regole». È uno sforzo grande che si richiede, un  percorso a ostacoli per tutti ma per tutti occasione di evoluzione. Del resto, come sosteneva Kant, è la resistenza dell’aria e non il vuoto che consente il volo.