Agorà

ANNIVERSARIO. E Guitton disse: sono l’anti-Sartre

Filippo Rizzi mercoledì 18 marzo 2009
Era una domenica, il 21 marzo di 10 anni fa, quan­do alle 17 nell’ospedale di Val- de- Grace a Parigi si spegne­va, dopo un’esistenza lunga qua­si un secolo e vissuta tutta nel Novecento, l’anziano intellettua­le che il giornalista di Le Monde Henri Fesquet definì amabil­mente « l’ultimo filosofo cattoli­co » o ancora – come amava de­scriverlo il suo grande amico Al­bert Camus – « l’ultimo dei gran­di umanisti francesi » . Tutto questo è stato, ed è forse ancora oggi per la Francia, Jean Guitton: filosofo e pittore per di­letto, scrittore, uomo « timido e audace dietro i suoi occhiali», ma soprattutto fraterno amico di Paolo VI. Intellettuale atipico, Guitton era stato amico anche di quattro presidenti: da Charles De Gaulle a Georges Pompidou, da Jacques Chirac a François Mitterrand. E proprio in un col­loquio con quest’ultimo aveva detto di sé: « Sartre ha scelto il nulla. Io ho scelto l’essere e la speranza invincibile » . I media francesi infatti lo identificarono come il contraltare del filosofo esistenzialista: « È vero che sono un po’ l’anti- Sartre della nostra generazione – racconterà lo stesso Guitton in una confiden­za del 1974 all’amico giornalista e poi biografo Jean- Jacques An­tier –. Ma Sartre ha tutte le trom­be della celebrità, e io ho appe­na un piccolo flauto». Amico di Paul Claudel, François Mauriac, Emmanuel Mounier, Maurice Blondel, Pierre Teilhard de Chardin e di Lord Halifax, lo scrittore stringerà un particolare rapporto di stima con il domeni­cano e padre della moderna ese­gesi biblica Albert Lagrange. E­cumenista della prima ora e se­guace del pensiero pla­tonico attra­verso Plotino e Agostino, Leibniz e Pa­scal, John Henry New­man e Hei­degger, Guit­ton sarà so­prattutto l’erede spirituale di Henri Bergson, il filosofo ebreo che nel 1941 in punto di morte non si convertirà al cattolicesi­mo solo per non tradire il suo popolo vittima del nazismo e del dramma della Shoah. « Io credo che Bergson fosse sulla soglia del cattolicesimo, sulla linea di confine – confiderà lo scrittore a Pascal Grousset –; era come co­lui che bussa ma non entra. Questo sarà il destino post- berg­soniano di Simone Weil » . Ma Guitton era un enfant terri­ble anche rispetto a un certo cat­tolicesimo benpensante. La ri­balta come studioso e accade­mico avvenne nel 1941 con la pubblicazione di Portrait de monsieur Pouget, un testo che diventerà, grazie anche alla bel­lissima recensione di Albert Ca­mus, una pietra miliare della fi­losofia e della letteratura. Il libro rappresenta un omaggio indiret­to al « genio ignorato » e suo maestro spirituale: il sacerdote lazzarista, di simpatie moderni­ste e poi riabilitato, Guillaume Pouget. La fama di Guitton è le­gata però anche a un altro libro, che gli costò una specie di « epu­razione accademica » e un ritar­do dei dovuti riconoscimenti uf­ficiali, tra cui la cattedra di filo- sofia alla Sorbona nel 1954 e l’ingresso nel 1961 alla prestigio­sa Académie Française: si tratta del Journal de captivité ( « Diario di prigionia » ). In quel testo rac­conta la sua vita in un campo nazista ma esprime anche la sua ammirazione per il maresciallo Philippe Pétain e indirettamente per la « collaborazionista » Re­pubblica di Vichy. A segnare comunque la svolta della sua vita sarà la decisione di Giovanni XXIII di ammetterlo – unico laico – al Concilio Vatica­no II in veste di « osservatore » . Una scelta confermata dal suc­cessore Paolo VI, ma che provo­cherà quasi per contrappasso la sottile ironia e in un certo senso la gelosia del teologo e poi cardi­nale Jean Daniélou: « Il Papa ha compiuto – confiderà il celebre gesuita – due imprudenze: far entrare nel canone della Messa san Giuseppe e ammettere Guit­ton al Concilio » ... Su invito diret­to di Paolo VI lo scrittore pren­derà poi la parola il 3 dicembre 1963 davanti a 2500 vescovi per discutere del difficile cammino dell’unità dei cristiani; e sarà l’u­nico laico ad avere questo privi­legio. In effetti da allora il nome di Guitton resta indissolubilmente legato a quello di Paolo VI, che aveva conosciuto a Roma nel 1949. Da quella data il loro ap­puntamento abituale sarà, ogni anno, l’ 8 settembre, festa della Natività di Maria. Un filo rosso di amicizia e di stima mai inter­rotto legherà i due grandi perso­naggi del Novecento. Al Papa del Concilio e dell’enciclica Populo­rum progressio il filosofo france­se dedicherà due libri, in cui rac­conterà la sua amicizia con il Pontefice: Dialoghi con Paolo VI e Paolo VI segreto. « Era il mio mi­gliore amico – racconterà a Francesca Pini –. L’ho frequenta­to per 27 anni e spesso mi diceva che lo conoscevo meglio di suo fratello. Quest’amicizia che il Pa­pa mi testimoniava era molto di­screta » . Proprio a Montini Guitton, rima­sto vedovo, confiderà un antico sogno: farsi sacerdote a 75 anni, per scuotere le coscienze di una Francia ormai secolarizzata. Ma la risposta del vescovo di Roma è perentoria: « Non si faccia mai prete! Laico e cristiano, è la sua vocazione » . In seguito Guitton, su mandato di Giovanni Paolo II, si recherà a Écône nel 1988 per tentare invano di ricucire lo strappo della Fraternità San Pio X e del vescovo Marcel Lefebvre con la Chiesa. Terreno privile­giato di ricerca, negli ultimi anni di vita, sarà il rapporto tra Dio e la scienza; in un libro si confron­terà sul difficile ma affascinante tema con i due fisici Grickha e I­gor Bogdanov. I riflettori mediatici torneranno ad accendersi sul personaggio Guitton in occasione dei suoi colloqui con François Mitter­rand sul senso della vita, della morte ma anche della fede e del­la mistica cristiana. L’ultimo in­contro tra i due avvenne il 25 novembre 1994 nell’abitazione parigina di Guitton in rue de Fleurus. Il « fiorentino » – come i francesi amavano chiamare Mit­terrand – morirà un anno dopo, avendo concluso il mandato all’Eliseo, rinunciando ai funera­li pagani e ottenendo la benedi­zione della Chiesa grazie anche al discreto consiglio e sostegno del filosofo ultranovantenne. Il 25 marzo 1999, invece, nella chiesa di Saint- Louis des Invali­des tutta la Francia laica guidata da Jacques Chirac e Lionel Jo­spin rende omaggio all’ultimo « filosofo cattolico». A presiedere i funerali è l’arcivescovo di Pari­gi, il cardinale Jean Marie Lusti­ger: « Jean Guitton è stato un fi­losofo, un professore e un cri­stiano – ricorderà nell’omelia –. La sua opera di intellettuale e di credente è inseparabile dagli in­contri della sua vita. Io prego per lui come amico e testimone del­la sua costante ricerca di Dio e del suo desiderio di servire i suoi fratelli » . Ebbe vari colloqui con Mitterrand. L’ultima volta fu nel 1994 e quando un anno dopo il presidente francese morì, l’amico mediò perché avesse la benedizione della Chiesa L’amicizia con Paolo VI durò fino alla fine. E quando, ormai vedovo, dichiarò di volersi far prete il Pontefice disse: «Non si faccia mai prete. Laico e cristiano, è la sua vocazione» Jean Guitton. In alto, François Mitterrand, e sotto, Paolo VI