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IL CANTAUTORE. Dylan: in tempi di vera crisi canto l’amore

Andrea Pedrinelli mercoledì 15 aprile 2009
Bob Dylan, si sa, non ha mai tenuto in gran conto le aspettative di pubblico e critica: e meno che mai lo fa ora, a quasi sessantotto anni, con cento milioni di dischi venduti, l’ennesimo tour in corso (oggi suona a Milano, venerdì a Roma, sabato a Firenze) e il cd numero 46 della sua carriera pronto ad uscire. Il 24 da noi, il 28 negli Stati Uniti. Certo che questo disco è lontanissimo dalla profondità del precedente inedito, Modern Times del 2006. Anzi: Together through life, ovvero «insieme attraverso la vita», come potete leggere a fianco sembra molto spesso un divertimento. Suoni retrò ed atmosfere anni Cinquanta che paiono terapeutici per l’artista, immerso tra blues, rock d’antan e spunti quasi bandistici a cantare d’amore, concedersi guizzi sornioni, dedicarsi – una volta tanto – più ad interpretazioni viscerali giocate in presa diretta che non ad approfondire atmosfere, testi, idee. Con la contraddizione che questi brani nuovi, che paiono scritti per essere valorizzati al meglio dal vivo, ad ora non sono previsti nelle scalette dei concerti.Ma c’è un però. In linea con un titolo speranzoso e legato alla motivazione che ha portato Dylan ad un album che forse è sì divertimento: ma in senso alto. Together through life nasce infatti come risposta ai tempi difficili della vita odierna di ognuno. E cantarvi l’amore è evasione mirata: ad un recupero dei valori forti. Come Dylan testimonia sul suo sito, parlando – faccenda sempre rarissima – a Bill Flanagan: che nelle tracce del cd individua correttamente, tra sentimenti e storie a tratti anche problematiche, il filo rosso del «sognare». Nel brano My wife’s home town, uno dei migliori, la necessità di sognare giunge anzi in primo piano. Perché? Dylan dà a questa domanda una risposta che fa svanire il timore di un cd velleitario, ed adombra alla sua nuova opera prospettive ben più alte di lettura. «Per me 'sogno' è sinonimo di speranza nel futuro. Soltanto che quando si parla di speranza è quasi automatico abbinare a questo termine anche le paure che il mondo ci costringe ad avere. Mentre usare la parola 'sogno' evita questo rischio. Come diceva una canzone, 'Tutto quanto si deve fare è sognare'. Cioè sperare: ma in modo più pieno, più forte». È da questa necessità dell’oggi che prende le mosse il nuovo cd di Dylan. Ed è su queste basi che si riscatta. Anche perché l’amore vi diventa ulteriore sinonimo di speranza, «anche se non so spiegare come l’ispirazione mi abbia portato lì». Ed anche perché, sottolineata l’esigenza di cambiare registro dopo Modern Times («Volevo cercare la verità in altri modi, se si vuole più romantici, usando suoni che coinvolgessero l’inconscio più che la ragione»), il 'nuovo' Dylan non è sul piano tematico lontano dal 'vecchio'. La politica in senso spicciolo è poco presente («Obama mi aveva affascinato: ma fare politica è spettacolo, sono tutti intercambiabili», dice negando che il brano Feel a change coming on sia dedicato al neopresidente degli Usa), al centro c’è lo spirito. C’è l’uomo. «Potrei oggi definirmi un mistico. Uno che ama umanità, verità, giustizia, e le cerca nel contatto con la natura, l’unica cosa che mi dà la consapevolezza della grandiosità di essere uomini. Poi, come dicevo, l’ispirazione stavolta ha tradotto tutto questo in dieci canzoni d’amore».