Agorà

Rivelazioni. E Stalin allontanò il Duce dagli inglesi

Roberto Festorazzi martedì 6 settembre 2011
Nella vicenda dei negoziati segreti italo-inglesi per la fornitura di armi alla Gran Bretagna (uno degli episodi più clamorosi e rimossi della seconda guerra mondiale) vengono alla luce nuovi e intriganti retroscena, che contribuiscono a chiarire il contesto reale in cui maturò la scelta di Mussolini di entrare in conflitto al fianco di Hitler. Quella per il riarmo dell’Inghilterra fu una trattativa occulta, avvenuta nel periodo della non belligeranza italiana, e poi abortita a causa del diktat giunto a Mussolini dall’alleato tedesco, che rappresentò il punto più alto della tentata collaborazione dell’Italia con Londra. Tale collusione era conosciuta fin nei dettagli e osteggiata dalla Russia. Emerge per la prima volta da dossier segreti che si conservano alla Wolfsoniana di Genova: le carte di Raffaello Riccardi, ministro degli Scambi e valute, uno dei più spericolati collaboratori di Mussolini. Da tutto ciò deriva che Stalin, il quale tra il giugno e il settembre del 1940 tentò un accordo generale con il Duce, era interessato a mandare a monte ogni residua intesa tra Roma e Londra. Di più: Mosca fece di tutto per incoraggiare l’entrata in guerra dell’Italia a fianco della Germania. Del resto, la collaborazione sotterranea tra l’Urss e Mussolini, è una pagina che non è stata ancora interamente scritta. Tra il settembre 1939 e la metà di marzo del ’40, il pendolo degli orientamenti politici del Duce oscillò in direzione dell’uno o dell’altro campo. A un certo punto, il dittatore fascista parve veramente tentato di "cambiare cavallo", passando dalla parte degli anglo-francesi. Il dado fu tratto soltanto il 10 giugno 1940, quando il Capo del fascismo dichiarò guerra a Francia e Inghilterra. Che parte ebbe Stalin in tutto questo? Ancora non lo sappiamo, ma uno studioso serio come Franco Bandini mi invitò a cercare il carteggio più esplosivo del secolo: quello che secondo lui era intercorso tra il Duce e il dittatore georgiano. Ma facciamo un passo indietro. Riccardi, in qualità di titolare del dicastero del commercio estero, fu magna pars nelle trattative col governo d’Oltremanica per la fornitura di materiali bellici di importanza strategica per Londra. A trattare le delicate commesse, fu mandato sulle rive del Tamigi l’ingegner Prospero Gianferrari, ex amministratore delegato dell’Alfa Romeo e presidente del Gruppo Costruttori aeronautici. Già prima di Natale del ’39, l’industriale aeronautico poté avere un quadro abbastanza chiaro delle richieste degli inglesi. Un suo rapporto del 17 dicembre, indirizzato a Riccardi, illustra il programma di acquisti del governo di Sua Maestà britannica, disposto a comperare 800 apparecchi (tra caccia, bombardieri, incursori e ricognitori), per 6-8 milioni di sterline, duemila cannoni (6 milioni), esplosivi e strumenti ottici (3 milioni), materie prime (2 milioni), e a noleggiare navi italiane (5 milioni). In tutto, erano pronte commesse belliche per non meno di 26-28 milioni di sterline, esclusi altri possibili ordinativi per l’acquisto di camion dalla Fiat e di pneumatici dalla Pirelli: una cifra sbalorditiva. Contemporaneamente, la Francia concludeva contratti per analoghe forniture, per un importo di due miliardi di lire. Dai documenti emerge che gli accordi di massima raggiunti nel novembre-dicembre del ’39 erano per consegne da effettuarsi a breve termine, tre o quattro mesi. Da ciò si evince il rilevantissimo significato politico che i due governi assegnavano alla collaborazione, che avrebbe dovuto preludere, più che a una conferma della non belligeranza italiana, allo sganciamento del nostro Paese dall’Asse. Le forniture, che avrebbero dovuto essere completate entro dodici mesi, avevano anche una scansione legata alle priorità. Gli aerei da caccia erano in cima ai desiderata del governo britannico. Un rapporto segreto del 24 novembre ’39, informa che, per la scelta definitiva dei tipi di apparecchi, sarebbe stata inviata in Italia una missione (in forma civile) composta da un tecnico e da due piloti. Ma, a questo proposito, emerge dalle carte della Wolfsoniana un "giallo". Il 1° dicembre, sul tavolo di Riccardi, giunge una nota riservata in cui si dettaglia che la missione inglese, composta da Barnett-Gray-Culletton, chiedeva con urgenza i permessi per poter entrare in Italia. Il ministro, di suo pugno, scrive sull’appunto: «Se si tratta della missione aeronautica, bisogna impedirle di venire in Italia». A che cosa si dovette questo brusca inversione di rotta? Lo ignoriamo, anche se probabilmente era dettata dalla necessità di evitare qualsiasi fuga di notizie sulla presenza di addetti militari inglesi nelle nostre officine aeronautiche. In ogni caso, il 2 dicembre, in un inedito promemoria per Riccardi, stilato sicuramente da un suo stretto collaboratore, si legge: «Ho fatto presente all’ingegner Gianferrari la necessità di evitare la venuta in Italia della missione aeronautica inglese. Egli dice che in luogo di consentirle qui la scelta dei tipi, si potrebbe invitarla a procedere alla scelta in via preventiva in modo da limitare lo scopo del viaggio in Italia alla prova degli apparecchi prescelti. Non vede [Gianferrari] la possibilità di impedire puramente e semplicemente la venuta, senza compromettere il programma di affari previsto. D’altronde non saprebbe come giustificare la nostra opposizione perché a Londra è noto che ai francesi è stato permesso di venire a eseguire le prove. Ho lasciato a lui la cura di presentare la cosa sotto la luce più adatta, informandoci in caso di difficoltà insormontabili. Ma egli prega di riesaminare la questione». Dunque, il negoziatore Gianferrari premette per non cancellare la missione inglese e ottenne successo. Infatti, i rappresentanti del ministero britannico dell’Aria giunsero in Italia in quello stesso mese di dicembre, per provare gli aeroplani da guerra. Essi furono preceduti dall’arrivo del delegato del governo inglese per le trattative, sir Rodd, e da un gruppo di esperti finanziari della Corona. Alla fine di gennaio del ’40, l’industriale Gianni Caproni e l’ingegner Maffei, del Consorzio esportazioni aeronautiche, in un viaggio Oltremanica, misero a punto le condizioni di un contratto per la fornitura di 400 velivoli militari. Nel febbraio successivo, una nuova missione giunse dalla "perfida Albione" per testare alcuni tipi di aerei. In seguito a pressioni giunte da Berlino, Mussolini dovette desistere tuttavia dai suoi programmi: il 12 febbraio 1940, il capo dell’Ufficio guerra economica, Luca Pietromarchi, comunicò all’ambasciata britannica di Roma che il Duce vietava l’esportazione di materiali bellici in Inghilterra. Ora, la domanda che dobbiamo porci è la seguente: chi fu a informare i tedeschi dei negoziati anglo-italiani per la fornitura di armamenti, con il preciso intento di affossarli? Con ogni probabilità, furono i russi. Nella miniera di preziosità documentarie custodite alla Wolfsoniana, vi è infatti un documento di enorme importanza che ci fornisce un indizio utile a ipotizzare quale sia stato il passaggio delle informazioni. Si tratta di un dispaccio del 14 marzo ’40, giunto all’attenzione del ministro Riccardi. Da esso si apprende di una conversazione avvenuta, all’ambasciata italiana di Londra, tra il nostro addetto aeronautico e quello sovietico. Il funzionario d’ambasciata russo si dice «al corrente di trattative intercorse tra il governo inglese e la ditta Caproni per la fornitura all’Inghilterra di un grosso quantitativo di apparecchi CA. 135». Nonostante l’addetto aeronautico italiano si dichiarasse del tutto all’oscuro della questione, come era suo preciso dovere, il collega russo non mancò di indirizzargli un messaggio politico ben preciso: «Noi dobbiamo aiutare la Germania, Italia e Russia sono impegnate e hanno interesse a che l’Inghilterra sia sconfitta». E qui si torna all’interrogativo destinato per ora a rimanere senza risposta: fino a che punto si spinse la collaborazione tra Stalin e Mussolini?