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Scenari. Il cinema al tempo del dragone

Luca Miele martedì 11 marzo 2014
Dietro il successo del colossal Iron Man 3 (il campione di in­casso del 2013 che ha portato a casa qualcosa come 1,2 miliardi di dollari, 860 milioni di euro) c’è anche un piccolo, immaginoso, “trucco”. Della pellicola, terzo capitolo del­la saga che vede Robert Downey Jr. indossare improbabili armatu­re e combattere altrettanto im­probabili terroristi, sono state di­stribuite due versioni: la seconda più lunga appena di una mancia­ta di minuti grazie all’innesto di una scena di cui sono protagoni­sti gli attori cinesi Fan Bingbing e Wang Xueqi. L’obiettivo, neanche tanto velato, della produzione U­sa? Conquistare le sale del colos­so asiatico. Per appassionati e ad­detti ai lavori non proprio un’ag­giunta che rimarrà nella storia del­la settima arte, ma una bella striz­zatina d’occhio a un mercato che fa sempre più gola. Le cifre catturano la strepitosa a­scesa del cinema cinese. L’anno scorso Pechino ha conquistato il secondo posto come più grande mercato cinematografico al mon­do dopo gli Stati Uniti, strappan­do la posizione al Giappone. Come riporta il “Beijing Review”, il box office del Dragone ha toccato il nuovo record di 21,77 miliardi di yuan (2,6 miliardi di euro) nel 2013, in crescita del 28% rispetto all’anno precedente. Gli incassi del cinema cinese valgono il 10% del box office globale. E in molti sono pronti a scommettere che il sor­passo ai danni degli Usa avverrà nel giro dei prossimi cinque anni. Ma cosa amano guardare i cinesi al cinema? Produzioni made in China innanzitutto. Nel 2013 i film indigeni hanno stracciato le pro­duzioni hollywoodiane, incas­sando 12,77 miliardi di yuan (1,5 miliardi euro), il 55% della torta. Hollywood si è dovuta acconten­tare del restante 45%. Una scivo­lata rispetto all’anno precedente, quando le pellicole a stelle e stri­sce occupavano il 51% del mer­cato cinese. Tra i dieci film di mag­gior successo, sette sono stati pro­dotti in Cina e solo tre proveniva­no da Hollywood. Nel 2012 solo tre film cinesi erano riusciti a en­trare nella classifica dei primi die­ci. Ma i dati sono in qualche mo­do “drogati”: la Cina non si disco­sta dal suo tradizionale protezio­nismo anche in campo cinema­tografico. Un accordo, siglato nel 2012, ha stabilito che le pellicole provenienti da Hollywood, da proiettarsi sugli schermi cinesi, possono essere al massimo 34 in un anno. I due generi più gettonati, scrive ancora il “Beijing Review”, sono la commedia romantica e i film co­mici, con il 16% delle entrate to­tali al botteghino. La pellicola più vista in assoluto è stata il fantasy Journey to the West: Conquering the Demons , diretto da Stephen Chow, che ha accumulato la bel­lezza di 1,25 miliardi di yuan (150 milioni di euro). Gli altri “campio­ni” d’incasso? Al secondo posto si è classificato So Young (diretto da Zhao Wei) che ha portato a casa 85 milioni di euro, seguito da Per­sonal Tailor (regia di Feng Xiao­gang), 83 milioni, e Young Detec­tive Dee: Rise of the Sea Dragon ( re­gia di Tsui Hark) che ha incassato 71 milioni. Il numero di aziende che gravita­no attorno alle mondo del cinema sono oltre mille, 638 film i film sfornati lo scorso anno. E che i ci­nesi siano pronti a muoversi in u­na prospettiva globale lo confer­ma la mossa del gruppo Wanda, che ha recentemente acquistato il colosso dei multisala negli Stati Uniti Amc (American Multi-Cine­ma), diventando così il primo pro­prietario mondiale di cinema. Dinanzi a questa forza d’urto, Hol­lywood non è rimasta con le ma­ni in mano. Iron Man 3 ha porta­to a casa 768 milioni di yuan (90 milioni di euro). Stessa strategia adotterà Transformers 4. Molte star, dagli attori Leonardo Di Ca­prio a Nicole Kidman, hanno fat­to viaggi promozionali in Cina. La DreamWorks ha dato vita alla O­riental Dreamworks, una joint venture con il Shanghai Media Group, studio di proprietà dello Stato. Un futuro luminoso attende, dun­que, il cinema cinese? In realtà non tutto brilla. Se a Hollywood sono gli studios a farla da padro­ne, a Pechino tutto passa per il fil­tro del Partito (e dei suoi agguer­riti censori). Che vede nel cinema non uno strumento per fare cul­tura e produrre qualità, ma una strada per rinforzare quel soft power con il quale il Dragone so­gna  di conquistare il mondo.