Agorà

Testimoni. Dorothy Day sulle barricate della povertà condivisa

Marco Roncalli venerdì 29 aprile 2022

L'attivista e giornalista americana Dorothy Day (1897-1980)

Un libro documentato, dove non sfuggono i dettagli rivelatori e non si semplificano i passaggi complessi. Non per questo meno avvincente, grazie ad una scrittura vivace che inanella episodi significativi, recuperati in completezza, dove con i fatti, si percepiscono sentimenti ed emozioni, si ascoltano i rumori, si vedono ambienti, si sentono odori, e – in tanti punti – si coglie un affidamento a Dio che è sostanza di tutte le cose. Un volume robusto Siamo una rivoluzione. Vita di Dorothy Day, scritto da Giulia Galeotti ed edito da Jaca Book (pagine 488, euro 29,00), che offre più di quanto annuncia il sottotitolo.

Già, perché le pagine che la storica contemporaneista, nonché responsabile della cultura a “l’Osservatore Romano”, dedica all’attivista americana capace di sfidare autorità e poteri, formidabile pacifista integrale, fondatrice insieme a Peter Maurin del movimento “Catholic Worker” con le sue case dell’ospitalità e dell’omonima testata a difesa degli emarginati, sono anche tanto altro. Soprattutto un viaggio nella storia del secolo scorso con lunghe soste legate a periodi o eventi rilevanti. Le esperienze nel Greenwich Village, santuario della controcultura dove la Chiesa cattolica era ritenuta una istituzione conservatrice da contrastare. Il lungo periodo della Grande Depressione con milioni di americani disoccupati. La seconda guerra mondiale: dall’attacco di Pearl Harbor alle atomiche su Hiroshima e Nagasaki. La rivoluzione castrista e la crisi dei missili a Cuba. L’opposizione alla guerra del Vietnam, ma anche il Concilio Ecumenico Vaticano II. Senza dimenticare fugaci rimandi ai papi (che afferma Day «insieme agli anarchici hanno sottolineato il principio: sussidiarietà»). E dunque Pio XII: con il quale concorda quando afferma che il mondo ha perso il senso del peccato «non personale, ma sociale» o distingue fra «persone e masse»; Giovanni XXIII apprezzato per la Pacem in terris e del quale vedrà a Roma il 22 maggio 1963 l’ultima apparizione alla finestra; Paolo VI che le invia auguri per gli 80 anni e del quale piange la morte; Giovanni Paolo I eletto dopo «l’attesa più corta della storia»; Giovanni Paolo II del quale all’elezione scrive «sembra giovane e forte».

Nel quadro di questo Novecento affrontato anche in chiave quasi sociologica tanto restano in primo piano temi come lavoro e assistenza, casa e sanità, alimentazione e istruzione..., colpisce poi il lettore il racconto della singolare relazione fra Dorothy Day, madre single con una vita turbolenta alle spalle, compreso un aborto in età giovanile confessato con grande dolore, e l’unica figlia, Tamar, sofferente, poco vista e ascoltata, indubbiamente molto amata. Oltre alle vicende riguardanti la famiglia d’origine, la vita affettiva con Lionel Moise, Berkeley Tobey, Forster Batterham… E oltre le tante vicende che hanno al centro il suo essere una donna al contempo critica e alleata del femminismo, ai suoi occhi questione più di responsabilità che di giustizia, e il suo essere una cristiana che non sopporta affatto il contrasto fra ideali e pratica. Galeotti, in queste pagine, prima ripercorre l’avventura umana e spirituale della Day a partire dalle origini, non senza illustrare la sua famiglia (padre giornalista sportivo, ateo, razzista, misogino; madre cristiana evangelica, socievole, infelice), indugiando sulle prime tappe fra infanzia e adolescenza (compresa la scoperta della prima bibbia ammuffita, a sette anni, a Berkeley dove aveva seguito il padre sulla West Coast e conosciuto il terremoto del 1906), quindi segue i vari spostamenti legati al nomadismo lavorativo paterno, dalla California a Chicago.

Sulle orme di Dorothy l’autrice è con lei nel biennio di studi a Urbana, all’Università dell’Illinois, poi nel ritorno – a diciott’anni – a New York dove si cimenta nel giornalismo presso il quotidiano socialista “The Call” oscillando fra sindacalismo e anarchismo, sino al 1927, data della conversione davanti al mare. Dall’abbraccio con la fede cattolica all’incontro con Maurin, all’impegno sociale a favore di tanti emarginati con i quali scelse di vivere preoccupata della loro felicità, capitolo dopo capitolo il libro va a ricomporre i lineamenti di questa figura cara anche a papa Francesco che la ricordò nel suo viaggio negli States del 2015, citando il suo nome – unica donna – assieme a quello di Lincoln, Martin Luther King e Merton davanti al Congresso statunitense. E sottolineando in quell’occasione che «il suo impegno sociale, la sua passione per la giustizia e per la causa degli oppressi, erano ispirati dal Vangelo, dalla sua fede e dall’esempio dei santi». Come in un film, quasi un fermo immagine finale, una doppia sequenza chiude il libro fermando questo lungo "inseguimento di Dio". Conclusi i funerali – il 2 dicembre 1980 – dopo la messa, ecco la folla dividersi in due: una parte andò ad accompagnare la salma al cimitero di Staten Island, l’altra tornò a Maryhouse dove bolliva una pentola con 40 litri di zuppa: c’erano tante persone da sfamare anche quel giorno. Nel 1938 Dorothy aveva scritto: «Una scodella di minestra o del caffè o un po’ di pane sono sufficienti per iniziare. Puoi sfamare i primi che arrivano e Dio ti manderà quello di cui hai bisogno per continuare il lavoro».