Agorà

La via del samaritano / 1. Una nuova stagione per la condizione femminile nella vita della Chiesa

Alesandro Zaccuri sabato 11 febbraio 2012
Quando la voce fuori campo ipotizza un rischio di misoginia all’interno della Chiesa, le clarisse di Urbino si mettono a parlottare tra di loro, co­me quando a scuola arriva l’intervallo. In prima fila c’è una sorella già anziana, con il viso pacioso, gli occhi grandi e spalanca­ti. Lì per lì si ha l’impressione che la do­manda l’abbia messa in imbarazzo, ma in effetti è lei a dare la risposta più tagliente: «Ogni tanto dovrebbero ricordarsi che noi donne siamo capa­ci di pensare, oltre che di pregare». Detto così, sempli­ce semplice. Del re­sto, Francesco si consultava con Chiara e ne ascolta­va i consigli. «Però è durata pochissi­mo », torna a com­mentare la nostra suorina. Non è una rivendicazione, tanto meno una protesta. Una con­statazione, ecco tutto. Invitata a dare il suo contributo al­l’evento Gesù no­stro contempora­neo, Liliana Cavani ha scelto di conservarsi fedele al suo me­stiere di regista e ha lasciato parlare i volti e le storie degli altri. Delle altre, anzi, di queste Clarisse protagoniste del docu­mentario proiettato ieri mattina all’Audi­torium Conciliazione nell’ambito della ta­vola rotonda su 'Gesù e le donne' mode­rata da Paola Ricci Sindoni. La spiritualità francescana appartiene alla poetica della Cavani fin dal Francesco d’Assisi del 1966, eppure questo filmato risulta sorprenden­te nella sua voluta semplicità. La novizia che spala la neve in cortile è la stessa che ritroviamo poi in biblioteca intenta nello studio dei Padri, quasi a testimoniare la possibilità e insieme la necessità di ricom­porre la frattura tra pensiero e azione, tra vita e fede. Caratteristica squisitamente anche se non esclusivamente femminile, come ha sottolineato la storica Emma Fat­torini, che ha subito messo in guardia dal­la tentazione di trasformare la 'differenza femminile' in condizione di inferiorità, e­marginando così una ricchezza che, anco­ra una volta, è delle donne, ma non solo delle donne. «Anche nel cattolicesimo – ha ribadito la studiosa – l’impoverimento che ne conse­gue è un problema di tutti, e in particolare degli uomini». Aiuta, in questo, la prospet­tiva storica: se fino alla Rivoluzione fran­cese, infatti, la Chiesa ha stretto un’allean­za naturale con le donne, considerate co­me custodi dei valori tradizionali, dall’800 in poi questa complicità viene messa in discussione. La libertà dell’individuo, te­ma moderno per eccellenza, va sempre più di pari passo con le istanze dell’eman­cipazione femmini­­le, fino alla delicata situazione attuale, nella quale il dibat­tito sui princìpi non negoziabili interes­sa direttamente il corpo stesso delle donne. «Ma questa – ha ribadito Emma Fattorini – può es­sere un’occasione straordinaria: oggi la Chiesa è chiama­ta a esprimere sulla condizione femmi­nile un coraggio e una creatività simi­li a quelli dimostra­ti a proposito della questione sociale nel passaggio tra XIX e XX secolo». Il legame inestricabile fra 'buona teolo­gia' e 'buona antropologia' è stato sotto­lineato anche dal biblista Ermenegildo Manicardi attraverso una minuziosa rico­gnizione della presenza femminile all’in­terno dei Vangeli. «Gesù non si presenta come femminista – ha sottolineato mon­signor Manicardi –, anche perché non considera mai la donna come una catego­ria a sé stante. La sua opposizione alla mentalità patriarcale dell’epoca è però in­discutibile ». Quello di Cristo è dunque u­no sguardo che, posandosi sulla donna, ri­vela qualcosa di ogni uomo, come accade nell’episodio dell’adultera, in cui si an­nuncia l’orizzonte di un perdono univer­sale. E come accade nell’ultimo atto del ministero pubblico di Gesù, che coincide con l’elogio della vedova che porta il suo obolo al tempio. Non si sbaglia troppo, forse, a immaginare che quella donna as­somigliasse almeno un po’ alla combatti­va clarissa di Urbino.