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CHIESA E SOCIETA'. La fuga delle donne?

Lorenzo Fazzini martedì 17 aprile 2012
​È raro che il titolo di un libro diventi uno slogan culturale. È successo con La prima generazione incredula di don Armando Matteo, teologo di vaglia, docente all’Università Urbaniana di Roma, già allievo del pensatore tedesco Elmar Salmann. Ora il focus d’indagine di Matteo, a metà tra il saggio di costume e l’inchiesta teologica, si concentra su La fuga delle quarantenni. Il difficile rapporto delle donne con la Chiesa (Rubbettino, pp. 112, euro 10, da domani in libreria). Dove le sorprese non mancano: sulle donne la Chiesa "ufficiale", vedi il magistero di Giovanni Paolo II, è giudicata dal teologo calabrese più "avanti" di quella "base". Lei individua in quella del 1970 la generazione del distacco tra l’universo femminile e la Chiesa. Un anno vicino al Sessantotto …«Il mio libro nasce da due constatazioni. Nei miei diversi incontri in giro per l’Italia, tra parrocchie, associazioni, diocesi, ho riscontrato l’assenza, nella vita della Chiesa, delle quarantenni. Questa percezione ha trovato conferma in un’indagine di Il Regno, curata da Paolo Segatti e Gianfranco Brunelli. Qui compare un dato significativo: dopo il 1970 non si nota più se siano i maschi o le femmine quelli più distanti dalla fede. Cioè, se negli anni precedenti al 1970 (quindi, alla soglia delle quarantenni di oggi) l’allontanamento dalla religione era più spiccato tra i maschi, da quell’anno non vi è differenza tra uomini e donne. La vicinanza con il ’68? Posso dire che, al di là della coincidenza temporale, nelle attuali quarantenni si evidenziano i segni della rivoluzione di quell’anno. Rivoluzione nel voler cambiare le parole comuni come "padre", "madre", "figlio" e nel voler creare tutto ex novo». La distanza delle quarantenni è solo "colpa" della Chiesa?«Il dato di partenza nella mia riflessione è che le giovani donne di oggi hanno meno stima della Chiesa rispetto a prima. Da qui azzardo alcune interpretazioni, senza voler essere esaustivo: anzi, il mio vorrebbe essere un contributo alla riflessione, ben vengano le obiezioni. A mio parere nella comunità dei credenti è mancato, rispetto all’universo "rosa", lo stile conciliare dell’ascolto. Nel clero, soprattutto, sopravvive una certa immobilità dell’immaginario femminile. Troppo spesso si pensa ancora la donna secondo il detto tedesco Kinder, Küche, Kirche, cioè "bambini, cucina, chiesa". Nella Chiesa non c’è sempre stato un atteggiamento di ospitalità rispetto all’acquisita soggettività della donna nell’era contemporanea. La teologia e il magistero, soprattutto a partire da Giovanni Paolo II, hanno superato ogni forma possibile di discriminazione e hanno chiarificato gli eventuali dubbi e le ambiguità. È invece a livello di Chiesa di base (penso alla formazione nei seminari) che rimane la fatica del prendere coscienza della nuova posizione sociale della donna».E da parte femminile, qualche autocritica?«Domanda delicata. Forse ci dovrebbe essere una maggior consapevolezza poiché, visto che in Occidente la trasmissione della fede è stata per lo più matrilineare, se perdiamo questo reciproco aiuto, quale scenario ci sta davanti? La questione della fede è legata a doppio filo con la figura della donna: sono state loro le prime evangelizzatrici! Mentre oggi subiscono la pressione mediatica di una società che continuamente pone il messaggio della Chiesa e del magistero contro di loro». Lei nota un segno di speranza nei numeri stabili delle vocazioni monastiche "rosa" …«È vero, su questo i dati sono positivi. La vita religiosa femminile in Italia non è in una situazione facile. Ma negli ordini monastici le donne "tengono" ancora, visto che sono 7 mila. In parte la crisi degli ordini femminili tradizionali è legata alla scomparsa di alcune situazioni (vedi la povertà o la mancanza di istruzione) che oggi non sono così pressanti nella nostra società. D’altra parte gli ordini monastici tengono in grande attenzione la cultura e la preparazione intellettuale delle donne. Le congregazioni "classiche" fanno fatica a ripensarsi nella società odierna». La Chiesa ha più volte indicato come alcune "conquiste" della società, vedi fecondazione artificiale, aborto, selezione pre-natale, siano contro la donna. Come fare perché la voce del magistero risuoni veramente come "dalla loro parte"?«A mio parere, sulle questioni bioetiche bisogna restare da un lato fedeli ai temi e valori che lei enunciava, dall’altro serve un linguaggio meno astratto e più legato alla concretezza della vita delle donne. Spesso il nostro parlare come Chiesa viene percepito come proveniente da un universo maschile, che non guarda alla vita concreta. Comunque, sono molti i temi su cui è possibile una nuova alleanza tra donne e Chiesa. Penso all’opposizione contro il maschilismo strisciante della nostra società, che discrimina la donna usandola nelle pubblicità e tv. Guardiamo a un dato: le laureate sono più numerose dei laureati, eppure le cattedre universitarie sono per lo più maschili! E poi: il problema della denatalità, della conciliazione tra maternità e lavoro, la posizione della donna in politica. Tutte questioni sulle quali è possibile trovare consonanza».