Agorà

IL CASO. Don Gnocchi, 007 per la Resistenza

Roberto Beretta martedì 14 luglio 2009
Ma può una «spia» diventare santa? Beh, se è andato vo­lontario con gli alpini in Russia ed è sopravvissuto alla riti­rata; se ha dedicato tutta la sua vita ai «mutilatini» e agli handicappati gravi; se in morte ha donato persi­no gli occhi a due ciechi; insomma, se si tratta di don Carlo Gnocchi: perché no? Del sacerdote milanese che sarà beatificato il prossimo ot­tobre si sanno molte cose, ma la nuova biografia popolare (benché storicamente ineccepibile, come dimostrano le 50 pagine tra note e bibliografia) che Edoardo Bressan congeda per gli Oscar Mondadori (pp. 198, euro 10) ne ricorda una che stimola la curiosità e merita un approfondimento: ovvero il perio­do travagliato tra 1943 e 1945 in cui l’ex cappellano del Gonzaga di Mi­lano, rimessosi in salute dopo l’im­presa di Russia e alla ricerca di una via per il futuro, finisce in Svizzera un po’ per assistere lassù i rifugiati antifascisti italiani e soprattutto per sfuggire alle minacce della po­lizia repubblichina (don Gnocchi collaborava infatti con una rete cattolica per assistere e far espa­triare i ricercati e gli ebrei). Dun­que, seguendo anche il consiglio dell’arcivescovo Schuster, don Car­lo il 10 luglio 1944 espatria clande­stinamente attraverso la Val Cavar­gna con un lasciapassare della Cro­ce Rossa. Il vescovo di Lugano monsignor Angelo Jelmini lo vor­rebbe destinare ai campi di raccol­ta dei giovani italiani, ma due de­nunce anonime che descrivono il prete come filo-fascista bloccano la via. Don Gnocchi si ferma dun­que in una località vicina al confi­ne, sul Lago Maggiore, e di lì si im­pegna nei settori a lui più conge­niali: la pubblicistica, con articoli su organi di stampa ticinesi, e la collaborazione con la Resistenza clandestina. In questa attività rien­trano i contatti con gli emissari al­leati e le probabili missioni svolte per conto dell’Oss (Office of Strate­gic Services), in pratica l’«antena­to » della Cia in tempo di guerra. Bressan ricorda questi episo­di in una frase: «Si sviluppa la sua 'attività di collega­mento' fra i partigiani e gli Alleati, ulteriormente confermata da una sua nuova missione a Campione dal 3 al 7 ottobre con il suo atten­dente Gino Schieppati, in occasio­ne della quale incontrò il vicecon­sole americano a Lugano, Donald Jones, uno degli uomini più impor­tanti per la raccolta di informazio­ni da parte degli Alleati, in stretto contatto con Allen Dulles a Berna». Dulles – già avvocato di Lucky Lu­ciano, massone, commerciante d’armi, banchiere finanziatore di Hitler, poi responsabile della Cia – era anche «il padre delle spie», ov­vero il direttore dell’Oss in Europa, appunto da Berna; che c’entrava con lui il futuro apostolo dei muti­latini? La cosa può spiegarsi col sorgere, in una zona contigua a quella dove stava don Gnocchi, della repubblica partigiana dell’Os­sola, «liberata» il 9 settembre 1944: grazie alla sua familiarità con molti giovani fuoriusciti, don Carlo do­vette essere contattato da ambienti resistenziali e alleati per trovare vo­lontari da inviare in rinforzo o in missione. Anzi – come ha docu­mentato la ricercatrice Renata Broggini in studi pubblicati dall’e­ditore Dadò di Locarno – il 23 set­tembre lui stesso passa nell’Ossola insieme al giornalista Ugo Arcuno, forse nell’impulso di non lasciare soli i «suoi» giovani nel momento del pericolo, ma probabilmente anche con qualche incarico di col­legamento. Ritorna infatti pochi giorni dopo in Svizzera e il 2 otto­bre un elenco della polizia confe­derale lo segnala tra gli «informato­ri » con il nome in codice di «Chi­no » e alle dipendenze del caporale Gustavo Foletti «Gufo». La notte tra il 3 e il 4 sotto il nome di don Gal­biati il sacerdote raggiunge a Cam­pione dove, nella casa dell’espo- nente della Resistenza e futuro sin­daco Felice De Baggis, consegna al console Jones «un grosso plico di informazioni militari e politiche» e si accorda per inviarne periodica­mente altre attraverso il suo atten­dente; lo conferma anche il parro­co, che sul suo Chronicon annota il 7 ottobre: «Ospite in casa parroc­chiale, riparte per oltre il confine il Rev. Don Carlo Gnocchi con il Sig. Schieppati, scesi (clandestinamen­te) a Campione in missione specia­le ». Che cosa avesse di importante da comunicare agli Alleati è don Carlo stesso a rivelarlo in un rap­porto post-bellico all’Oss: doveva informarli dell’esistenza nel Nord Italia di un’organizzazione clande­stina dei Carabinieri, che faceva capo al duca Marcello Visconti di Modrone e chiedeva di essere rico­nosciuta ufficialmente e quindi aiutata con armi e fondi. «Per mezzo delle conoscenze conservate dai Carabinieri nell’ambiente fascista» – scrive don Gnocchi – tale gruppo avrebbe avuto «lo scopo immedia­to di fornire agli Alleati materiale di informazioni militari e politiche e quello futuro di costituire una for­za di ordine al momento dell’avan­zata delle truppe alleate nella Valle Padana». Proprio a casa Visconti di Modrone a Macherio (Mb) don Carlo sarà arrestato dai nazifascisti il 17 ottobre, probabilmente in se­guito a una fuga di notizie sulla sua attività clandestina e con l’accusa di «intelligenza col nemico e alto spionaggio». Resta a San Vittore fi­no al 4 novembre (uscirà per diret­to intervento del cardinale Schu­ster) e manca così un altro impor­tante appuntamento in Svizzera: in quanto «pratico dei sentieri» per­ché «faceva spesso la spola tra Ita­lia e Svizzera essendo a contatto con elementi partigiani d’Italia», da Lugano infatti avrebbe dovuto accompagnare a Milano Bruno Ki­niger, incaricato dagli Alleati di mediare la liberazione degli ebrei internati nel campo di Fossoli (Mo). «Chino» rimase comunque nelle liste elvetiche degli «agenti ed ex agenti che potrebbero presen­tarsi al confine per rientrare in Svizzera» almeno fino al gennaio 1945, anche se «attualmente fuori quadro». Così si meritò l’apprezza­mento del consolato americano di Lugano, che poco dopo la fine del­la guerra gli rilasciò un attestato come «persona che ci ha reso im­portanti servizi durante l’occupa­zione tedesca di Milano». Ma l’atti­vità di intelligence procurò al sacer­dote pure una diceria infamante che si è perpetuata fino al processo di beatificazione: cioè che proprio lui avesse passato agli Alleati l’ubi­cazione dei depositi di carburante di Erba (dove don Gnocchi era di casa) poi bombardati il 30 settem­bre e il 1° ottobre 1944 con un bi­lancio di oltre 70 morti. Ora final­mente Bressan è in grado di assicu­rare che il futuro beato non c’entra, in quanto – secondo documenti dell’aviazione Usa da poco dispo­nibili – le prime ricognizioni su Er­ba avvennero il 22 agosto «ed entro quella data don Gnocchi non uscì certo dalla Confederazione». «Spia» sì, spietato no.